E’ un’intervista a 360 gradi quella di Angelo Branduardi ai microfoni del Corriere della Sera. Il poliedrico artista, famoso in particolare per Alla Fiera dell’Est, ha ricordato un concetto che aveva già espresso altre volte, ovvero, la fine della sua carriera da rockstar, coincidente con un evento del 1980, un mega concerto a Parigi con 140mila persone, dove sul palco Branduardi e altri artisti sembravano formiche, e durante il quale “Tutto era diventato isterico. Finita la serata, è finita anche la mia carriera di rockstar”.

Nonostante abbia svestito i panni da stella della musica, Angelo Branduardi è ancora oggi amatissimo e lo dimostra il nuovo tour e soprattutto un box con 4 cd in uscita il 29 novembre dal titolo “Santi & Malandrini”. L’artista ammette di aver goduto della vita da rockstar per una ventina di anni, ma ad un certo punto non era più la sua “tazza di tè”, ed ha cominciare a levare, seguendo la formula del less is more.

ANGELO BRANDUARDI: “SUONO IL VIOLINO MA NEL RESTO SONO UNA NULLITA’

Angelo Branduardi racconta quando ha imparato a suonare il violino a soli 16 anni, ma “non ero un secchione, mi veniva facile”, aggiungendo di essere privo di qualsiasi manualità in altri campi, di non essere in grado di svitare una lampadina, ma con gli strumenti “diventa tutto più semplice, nelle altre cose sono una nullità”. Impossibile non parlare di Alla fiera dell’est, canzone che Branduardi svela di essere ispirata ad un canto ebraico ma che “non voleva nessuno”.

Il cantante ci ha messo infatti un anno per trovare una casa discografica interessata: “Alla fine ha creduto in noi un matto che mi disse che sarebbe stato un successo terribile o un fiasco terribile”. Oggi Alla Fiera dell’Est è una canzone popolarissima ma “nessuno sa chi è Branduardi. Significa che la canzone non mi appartiene più, è diventata un piccolo patrimonio popolare, quindi mi ha dato un pizzico di immortalità”, confessa l’artista.

ANGELO BRANDUARDI: “IN DEPRESSIONE PERSI 25 KG”

Ha quindi raccontato i suoi inizi, il primo brano scartato (“la casa discografica l’aveva ritenuto brutto”), ma anche la 500 mezza scassata coperta di strumenti, il cachet di 20 mila lire (“che non bastava per dormire e mangiare”), le dormite di notte vicino ai camion, ma “È quello che manca adesso, la polvere dietro le spalle. Ora non esistono i talent scout, si guarda chi funziona sui social, quanto dureranno non si sa ma pazienza”.

E poi la depressione durante la pandemia, spiegando di aver vissuto da segregato, con dentro il vuoto e di aver perso ben 25 chili. Un male che spesso e volentieri affligge i creativi: “La ragione credo stia nel fatto che un artista è più sensibile, piu attento alla realtà che lo circonda”, spiega Branduardi. Ma c’è un giorno che vorrebbe rivivere? “Tornare a dormire su quella 500 scassata, avevo 20 anni, me ne toglierebbe tanti di dosso”.