“C’è un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare quel che si è piantato. Un tempo per uccidere e un tempo per curare, un tempo per demolire e un tempo per costruire. Un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per fare lutto e un tempo per danzare”  si legge nel libro di Qoelet detto anche Ecclesiaste.



Con questo spirito Angelo Branduardi conduce lo spettatore nel viaggio della vita, con la stessa capacità di narrare affanni e dolori, speranze e desideri innati nel cuore dell’uomo. Tanto è vero che Branduardi usa ancora questo antico libro del Vecchio Testamento come ispirazione per il brano che concluderà il concerto:Vanità delle vanità, dice Qoèlet, vanità delle vanità, tutto è vanità. Quale utilità ricava l’uomo da tutto l’affanno per cui fatica sotto il sole?”. Il brano infatti si intitola Vanità di vanità (qualcuno la ricorderà come colonna sonora del telefilm interpretato da Johnny Dorelli, State buoni se potete, dedicato alla vita di San Filppo Neri, l’inventore degli oratori).



La musica un tempo accompagnava tutti i momenti della vita, c’era una musica per nascere, una per mietere, una per fare dormire i bambini, una per fare innamorare e una per morire. Un tempo per ogni cosa, ed è la filosofia musicale di Branduardi da sempre, narrare lo scorrere delle cose con un sipario finale certo “E infine il Signore, sull’angelo della morte” trionferà.

Nella bella cornice vintage del Teatro Lirico (oggi dedicato a Giorgio Gaber) finalmente ridato alla città di Milano dopo oltre vent’anni di incuria e abbandono, a pochi passi dal Duomo, Angelo Branduardi accompagnato da un ensemble straordinario (Davide Ragazzoni batteria, Stefano Olivato basso, Antonello D’Urso chitarra – capace di cambiarne tre nel corso dello stesso pezzo –  e Fabio Valdemarin tastiere anche bravissimo corista) ha presentato il suo “cammino nell’anima” come si intitola il suo più recente lavoro discografico. Dedicato a santa Hildegarde von Bingen, la prima donna della storia a comporre musiche e parole, dimostra l’innarrestabile attività di ricerca del musicista e della moglie Luisa Zappa, da sempre autrice dei testi delle sue canzoni e sua consulente, per portare al grande pubblico la bellezza nascosta e dimenticata. La prima parte del concerto è infatti dedicata a un’unica suite di brani tratti dal disco, affascinante e coinvolgente, capace di trasportare in un mondo lontano dove cuore e voce erano un’unico strumento.



Quindi Branduardi introduce la seconda parte dello spettacolo dove passa in rassegna i suoi brani più conosciuti e amati, ironizzando su se stesso, quando introducendo Alla fiera dell’est (in cui canta la prima strofa in lingua ucraina) dice “ecco la canzone che ha fatto addormentare tutti i bambini del mondo, loro oggi non sanno chi sia Branduardi ma conoscono la canzone e questa è una bella eredità”. Con una capacità unica nel mondo della musica italiana, Branduardi porta in scena melodie, storie e racconti dal Giappone al Medio Oirente, dal nord Europa all’Italia, con la sua voce gentile che non ha perso un briciolo di vigore e le sue note calde e appassionate con Si può fare, ottimistico invito a non perdersi d’animo, La serie dei numeri e Ballo in fa diesis minore, brano questo in cui la capacità musicale di Angelo e dei suoi musicisti si dipana in modo entusiasmante, con stop and go ripetuti e lunghi assolo di violino del Maestro.

C’è spazio anche per alcuni brani di un’altra delle sue opere più amate, L’infinitamente piccolo, dedicato a un altro santo, Francesco d’Assisi, che Branduardi introduce con un orgoglioso “il primo poeta italiano a usare la nostra lingua, cento anni prima di Dante”,  con Cantico delle creature, Il sultano di Babilonia e la prostituta, Alle paludi di Venezia.

C’è però un momento in cui Branduardi si siede da solo sul palco con la chitarra intonando una intensissima La luna, un momento di magia purissima che zittisce ogni respiro del teatro. Così accade anche nel vertice della serata, la ripresa di una vecchia melodia popolare inglese (la usò anche Bob Dylan) con una maestosa Lord Franklin, in cui l’artista tesse note di violino di bellezza cristallina.

In una serata fredda e piovosa Angelo Branduardi ci ha fatto scorrere davanti la nostra vita, fatta di canzoni imparate per ninnare, per insegnare che l’amore è sacrificio, di un  amore nato “sotto un tiglio”, per immedesimarsi con i santi che “arrivano danzando “. Ne abbiamo bisogno.

(Grazie a Laura Gangemi per l’assistenza e a Patrizia Canessa per l’ispirazione)