La prima festa celebrata dalla Chiesa dopo il Santo Natale è da tradizione Santo Stefano, il Protomartire cristiano, diacono e testimone di Gesù negli anni immediati dopo la Resurrezione del Figlio di Dio: Papa Francesco all’interno della fitta agenda di celebrazioni natalizie, oggi alle ore 12 celebra in Piazza del Vaticano l’Angelus dedicato al Santo primo Martire della storia cristiana nonché discepolo di San Pietro. Nella Festa di Santo Stefano, la Chiesa osserva ad appena 24 ore dalla Nascita del Cristo la celebrazione per il Santo Martire che testimoniò la propria vita con il sangue per non cedere davanti al tentativo di persecuzione dei testimoni diretti della fede cristiana. Come ricordava in un passato Angelus del 26 dicembre l’allora Pontefice Benedetto XVI, «in Santo Stefano si è verificata in pieno la promessa di Gesù riportata dal testo evangelico odierno, che cioè i credenti chiamati a rendere testimonianza in circostanze difficili e pericolose non saranno ab­bandonati e indifesi: lo Spirito di Dio parlerà in loro». Papa Francesco un anno fa nell’Angelus di Santo Stefano sottolineò inoltre come il Protomartire cristiano morì esattamente come Gesù, affidando cioè «la propria vita a Dio e perdonando i suoi persecutori». Il perdono e l’accettazione del propri destino: due “atteggiamenti”, spiegava Papa Francesco, che fanno di Santo Stefano non solo un “protomartire” ma un autentico testimone della fede.



SANTO STEFANO, UN MARTIRE-TESTIMONE

Santo Stefano è stato il primo nella storia della Chiesa

a dare la vita e il sangue per il Signore Gesù: nel giorno dopo la nascita e la “fondazione” di fatto del cristianesimo, la tradizione cattolica celebra il grande Santo convertito alla fede dopo la predicazione di San Pietro. Predicava lui stesso, dopo esser stato fatto diacono dagli Apostoli per la cura e i bisogni dei primi fedeli cristiani, ma era anche uno straordinario testimone “diretto” della fede in Cristo e dei miracoli operati nel Suo nome. Per questo motivo, come ricorda benissimo anche Papa Ratzinger «il diacono Stefano, in effetti, operò, parlò e morì animato dallo Spirito Santo, testimoniando l’amore di Cristo fino all’estremo sacrificio. Il primo martire viene descritto, nella sua sofferenza, come imitazione perfetta di Cristo, la cui passione si ripete fino nei dettagli. La vita di santo Stefano è interamente plasmata da Dio, conformata a Cristo, la cui passione si ripete in lui; nel momento finale della morte, in ginocchio, egli riprende la preghiera di Gesù sulla croce, affidandosi al Signore (cfr At 7,59) e perdonando i suoi nemici». Il martirio, il primo nel nome di Gesù, avvenne dopo la denuncia dei Giudei e la condanna del sommo sacerdote Caifa: come ricordano i testi degli Atti degli Apostoli, «Quelli, alzando grandi grida, si turaron le orecchie e tutti insieme gli si avventarono addosso e trascinatolo fuori della città si diedero a lapidarlo, deponendo le loro vesti ai piedi d’un giovane chiamato Saulo. E lapidarono Stefano che pregava dicendo: “Signore Gestì, ricevi il mio spirito”, e ad alta voce: “Signore, non imputare loro questo peccato”».



L’ANGELUS DI PAPA FRANCESCO DEL 2018

Nel messaggio lanciato un anno fa durante l’Angelus in Piazza San Pietro per la festa di Santo Stefano Protomartire, il Santo Padre Jorge Mario Bergoglio spiegava perfettamente lo “strano” accostamento del Natale a questo particolare tipo di celebrazione: «Potrebbe sembrare strano accostare la memoria di Santo Stefano alla nascita di Gesù, perché emerge il contrasto tra la gioia di Betlemme e il dramma di Stefano, lapidato a Gerusalemme nella prima persecuzione contro la Chiesa nascente. In realtà non è così, perché il Bambino Gesù è il Figlio di Dio fattosi uomo, che salverà l’umanità morendo in croce. Ora lo contempliamo avvolto in fasce nel presepe; dopo la sua crocifissione sarà nuovamente avvolto da bende e deposto in un sepolcro». È in particolare sull’atteggiamento del perdono che Papa Francesco fondava la sua riflessione nell’Angelus del 2018: «Egli non maledice i suoi persecutori, ma prega per loro: «Piegò le ginocchia e gridò a gran voce: “Signore, non imputare loro questo peccato”» (At 7,60). Siamo chiamati ad imparare da lui a perdonare, perdonare sempre, e non è facile farlo, tutti lo sappiamo. Il perdono allarga il cuore, genera condivisione, dona serenità e pace». Una figura con importanza solo nel passato? Tutto il contrario, «il proto-martire Stefano ci indica la strada da percorrere nelle relazioni interpersonali in famiglia, nei luoghi di scuola, nei luoghi di lavoro, in parrocchia e nelle diverse comunità. Sempre aperti al perdono. La logica del perdono e della misericordia è sempre vincente e apre orizzonti di speranza. Ma il perdono si coltiva con la preghiera, che ci permette di tenere fisso lo sguardo su Gesù».