Un articolo online dal titolo “Macerata durante la Spagnola, quante analogie con il Coronavirus” riporta un bel consiglio dell’Ufficiale sanitario dell’epoca (1918-1919), Ferruccio Nascimbeni: «Manteniamoci lieti, non v’hanno più terribili alleati della Febbre spagnola che la tristezza, la malinconia, la paura del possibile del sopraggiungente male. Alto lo spirito e, anche se colpiti dall’infezione, si trionferà su essa!».



Già 100 anni fa era chiaro che il benessere del corpo è connesso con il benessere della psiche (anima).

Oggi per tutelare la salute siamo invitati a restare in casa, privi di relazioni e di rapporti sociali, ma occorre anche considerare che una prolungata mancanza di contatti diretti e di strutturazione del tempo è deleteria. Contatti, relazioni e tempo strutturato potenziano la spinta e la motivazione a stare bene, possono essere fattori decisivi di prevenzione, contribuiscono a fortificare le difese immunitarie e a migliorare il processo di guarigione.



Da qui ecco alcuni spunti di riflessione in merito all’esperienza di questi giorni.

Poniamo attenzione al nostro “dialogo interno”, in modo che sia positivo e protettivo verso se stessi e gli altri, così da aiutarci ad esprimere le qualità e le risorse con creatività.

Vanno poi accolti tutti i sentimenti alimentati dalla pandemia (rabbia, tristezza, paura), senza negarli, accettando che essi facciano parte dei vissuti conseguenti all’elaborazione di un evento così dirompente, “traumatico” e da ciò che ne conseguirà.

Usiamo i social per condividere esperienze, seguiamo programmi culturali, scientifici, presentazioni di mostre e di libri, meeting tematici virtuali, leggiamo testate online aperte alle esperienze, limitiamo il tempo dedicato a trasmissioni sull’emergenza.



Riscopriamo il valore della compagnia e della comunione, mantenendo vivi i contatti di amicizia e i legami positivi; e che si possa scandire il tempo, durante la giornata, con punti di riferimento e momenti fissi: avere cura di sé, degli altri, specie in famiglia, dedicarsi a momenti di meditazione, di silenzio e di preghiera, e svolgere attività che di norma sono meno consuete, assecondando interessi e inclinazioni proprie.

Troppo poco, invece, si tiene conto e si parla nei dibattiti TV e sui giornali, a mio parere, dei fattori che possono contribuire allo star bene, e si pensa alla persona considerandola solamente dal punto di vista fisiologico, guardando ad essa come se consistesse di sola fisicità.

Una prolungata chiusura può recare danni alla salute (parola tra l’altro che ha la stessa radice latina di “salvezza”), specie per gli anziani: tenerli rinchiusi non fa che aumentare i malesseri (non sarà solo il colesterolo a crescere, ma anche la depressione che a sua volta può compromettere le difese immunitarie); la reclusione per altri mesi, produrrà problematiche psicologiche altrettanto gravi rispetto a quelle per cui ci si costringe a star chiusi.

È necessario prevedere la ripresa di contatti, di interessi, di relazioni, pur sempre con le dovute cautele (sostituire appena possibile, ad esempio, il rapporto virtuale dei nonni con i nipoti con quello reale!); la virtualità non può soppiantare affatto la realtà: è una illusione, come partecipare individualmente a lezioni di ginnastica tramite i social, o alle celebrazioni liturgiche: “non viralizzare la fede, ma farne esperienza concreta di comunità”, ha detto il  Santo Padre il 21 aprile scorso a Santa Marta.

Poco presente è il considerare quindi questa componente: che la persona sta bene quando le difese immunitarie aumentano, e ciò accade anche quando abbiamo contatti, relazioni, rapporti, respiriamo all’aria aperta, prendiamo il sole… Non si può parlare della persona “a pezzi”.

Augurandoci di riprendere il contatto diretto con la vita e con i rapporti interpersonali umani e veri, teniamo “alto lo spirito”, guardiamo alla realtà in tutti i fattori in gioco e, in particolar modo – come fattore decisivo di guarigione e di benessere -, all’unità della persona, lasciandoci invadere alla fin fine dal “contagio della Speranza”. (Francesco, Omelia di Pasqua 2020)

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