Avvertenza necessaria: quello che si racconta in Anna, la nuova serie tv in onda su Sky dal 23 aprile, nulla ha a che vedere con l’attuale crisi pandemica. Il virus che si è diffuso all’improvviso in Europa si chiama “la rossa”, colpisce le vie respiratorie, ma non lascia alcuna speranza di guarigione dai 14 anni in su. Né ci sono scienziati adulti sopravvissuti in grado di trovare un vaccino o una cura. Il mondo si sta spegnendo, e una moltitudine di bambini affamati si aggira per le città e le campagne abbandonate alla ricerca di qualcosa che sia utile per la sopravvivenza.
Eppure il racconto di Niccolò Ammaniti – scritto nel 2015 e poi trasformato in una miniserie sei mesi prima dell’arrivo del Covid-19 – ci sembra più una parodia di questo drammatico periodo della nostra vita che un’idea originale della fine del mondo. Sappiamo tutti che questa volta ce la stiamo cavando, abbastanza bene. Ma la prossima epidemia potrebbe risultare devastante per il genere umano se non ci prepariamo per tempo. La nostra debolezza è apparsa in tutta la sua evidenza, ed è racchiusa proprio nella certezza di non sapere in cosa consisterà la prossima, da chi sarà diffusa e da dove arriverà.
Anna è una delle adolescenti sopravvissute che combatte ogni giorno con i suoi coetanei per la conquista di qualche oggetto ancora utilizzabile. Le sue due ragioni di vita sono rappresentate da un diario lasciato dalla madre, in cui puntigliosamente prima di morire ha cercato di raccogliere tutti i consigli utili per far fronte alla situazione (“controllate sempre la data di scadenza delle scatolette, e comunque annusatele prima di mangiarle”), e un fratello più piccolo a cui prestare le proprie attenzioni. Anna e Astor vivono asserragliati nella casa di campagna di famiglia, alle porte di Palermo, dove la mamma si era rifugiata alle prime notizie del diffondersi dell’epidemia. Sono lì da qualche anno, senza energia elettrica, senza acqua corrente, senza riscaldamento. Fuori bande di ragazzini danno sfogo alla loro crudeltà in un mondo dominato dal baratto e che assomiglia, giorno dopo giorno, alla civiltà delle caverne.
Anna un giorno torna a casa e non trova più il fratellino. Capisce che è stato rapito dalla banda dei “blu” e si mette alla sua ricerca cercando ogni traccia utile. Quando giunge nella grande Villa dove la banda è acquartiera scopre che i più grandi sfruttano i più piccoli in ogni modo. A capo di tutto c’è Angelica, una ragazza che già prima dell’arrivo del virus aveva rivelato grandi doti di manipolazione dei suoi simili, fino a convincere una sua coetanea a gettarsi nel vuoto. Angelica nel nuovo mondo ha – se possibile – sviluppato le sue capacità. È venerata come una stregona perché ritenuta in possesso dell’unica adulta sopravvissuta che sarebbe in grado di guarire dalla malattia. Si tratta ovviamente di una menzogna che però spinge migliaia di bambini e adolescenti a ubbidirle e a praticare il culto pagano della sua persona. Toccherà ad Anna smascherarla, con l’aiuto di Pietro, un giovane che ha scelto di vivere da solo in una roulotte e a cui si lega sentimentalmente.
L’incubo costruito da Ammaniti invece che spaventare si trasforma spesso un racconto noioso, ripetitivo, dove l’eccesso sfiorisce nel banale e nella ricerca a ogni costo della critica a posteriori dei difetti della nostra civiltà opulenta e immorale. Che ovviamente i bambini hanno fatto a tempo ad assimilare, e nel peggiore dei modi. In ogni caso si tratta – come spesso vale per le produzioni destinate al pubblico di Sky – di un lavoro di qualità, ambizioso, senza quei micragnosi risparmi che rendono le produzioni di casa nostra poco più di una telenovela. Del resto sono state mobilitate in una volta sola Wildeside, Fremantle, Kwaï, The New Life Company, oltre alla partecipazione di Arte France.
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