L’AFFONDO DI CONCIA CONTRO IL LINGUAGGIO WOKE: “BASTA ASTERISCO!”

Anna Paola Concia non ci sta: dopo la “bagarre” scatenata sui social per la sua risposta al manifesto dei Radicali e di Possibile su una ipotetica nuova legge per l’aborto rivolto a “tutt*”, oggi a “Il Foglio” l’ex parlamentare Pd dichiaratamente omosessuali lancia la sua battaglia contro il linguaggio che negli Usa viene definito “woke” (“risveglio”, la cultura del “politicamente corretto” da alcuni anche definita “dittatura dei diritti”).



«Io sono una donna, ancor prima di essere lesbica, e non ho alcuna intenzione di farmi cancellare da un asterisco. E’ chiaro?», lo dice a chiare lettere l’attivista LGBT e coordinatrice di Didacta Italia. Ha difeso comunità arcobaleno, trans e quant’altro ma davanti al manifesto trans-femminista – dove si parla di aborto ma non si usa il “femminile” come genere perché sarebbe lesivo dell’inclusività di soggetti quer, non-binary o transessuali – Concia non riesce a rimanere calma. «Sono stata zitta abbastanza. Questa storia del linguaggio è sfuggita di mano». Nel suo sfogo su Twitter contro il manifesto “inclusivo” pro-aborto, l’ex Pd aveva scritto di getto «una “legge per tutt*? Tutte chi? Asterisco? Ma quale asterisco? Ma smettetela, per favore, state facendo un danno incalcolabile al diritto all’interruzione volontaria di gravidanza delle donne».



ANNA PAOLA CONCIA: “INCLUSIVITÀ NON PUÒ ELIMINARE LA DONNA”

Secondo Anna Paola Concia insomma il tema del linguaggio “woke” sta contribuendo a produrre effetti opposti alle battaglie che si dice di voler combattere nel mondo LGBTQ+: «E’ inaccettabile che in nome dell’inclusione si cancellino le donne. Perché di questo si tratta: della rimozione della donna, dell’annientamento della differenza femminile, trasformata in un problema, in un ostacolo da spazzare via», spiega ancora al “Foglio” l’ex parlamentare. Da anni Concia dice di star assistendo ad un cambiamento radicale nella cultura mondiale, ammettendo che sì la lingua può anche cambiare ma in un «percorso lungo e graduale che non può essere imposto».



Il culmine, dice ancora l’attivista omosessuale, è giunto lo scorso giugno quando la la John Hopkins University ha redatto un glossario per l’inclusività (poi modificato dopo le polemiche, ndr) nel quale definisce persona lesbica «un non-uomo attratto da un non-uomo»: secondo Concia, «Ho lottato una vita per essere una donna e una lesbica libera e vorrebbero farmi credere che ciò che fa di me quel che sono è un la particella ‘non’ davanti alla parola ‘uomo’?». Lo schema mentale che sottende, secondo Anna Paola Concia, è lo stesso del maschilismo di decenni fa: «eliminare la donna. La rivista Lancet, quasi due anni fa, definì le donne ‘corpi con vagina’. Ma non ricordo che qualcuno abbia mai descritto l’uomo come un “corpo con scroto’». Il tema per Concia è insomma una battaglia femminista da aggiornare e contrastare all’imperante inclusività “schizofrenica”: ci sembra però più interessante – ci perdonerà l’ex onorevole – l’elemento di realtà richiamato dalla stessa Concia in un altro passaggio della sua lunga intervista. Quando pone infatti la classica provocazione da “il re è nudo”: «quanti sono i trans nati donna discriminati al momento dell’aborto? “Io non conosco nemmeno un caso concreto. Ho chiesto altre informazioni ai miei interlocutori. Nessuno ne ha aggiunte». Rifiuta di essere chiamata “transfobica”, è solo un modo – dice – «per tapparti la bocca, un ricatto», detto infatti da una che ha presentato per prima la legge per l’autocertificazione del proprio genere; «Si vuole tutelare il trans in linea di principio? Benissimo. Lo si tuteli. Ma non abolendo il riconoscimento delle donne, perché sono le donne quelle che poi in grandissima parte abortiscono», conclude Concia.