Finalmente anche il Festival di Sanremo 2024 è finito.
Per modo di dire, perché la Rai continuerà a sfruttarlo per giorni e giorni come un inarrestabile tormentone, e in tutti i programmi possibili. È normale, dato che è un modo per sfruttare il grande investimento in una manifestazione canora che dura ininterrottamente da 74 anni, ogni volta con la solita coda di polemiche ed entusiastici bollettini sugli ascolti.
Come mai la quarta serata, quella delle cover e dei duetti, ha superato addirittura il 65% di share? Il motivo non dovrebbe rallegrare granché, perché è la dimostrazione del degrado del livello musicale del Paese del bel canto. È stata in effetti una vera emozione ascoltare canzoni davvero intramontabili, come si scrivevano anni fa. E il confronto con i motivetti e i rappettini del Festival 2024 è stato semplicemente impietoso.
Fare osservazioni critiche sul Festival di Sanremo è oramai come sparare sulla Croce Rossa, visto il livello cui l’industria musicale e il suo maggiordomo Amadeus hanno ridotto la canzone italiana. Meglio quindi cominciare con gli aspetti positivi: l’alto livello dell’orchestra, dei coristi, dei tecnici audio e luci, della regia, in cui la Rai ha sempre eccelso. Per il resto, a parte qualche rara eccezione, tutto si riduce, come è già stato scritto, a un polpettone con ingredienti troppo eterogenei e già un po’ stantii.
Molti, in rete, hanno notato la sovrabbondante presenza di ragazzotti fluidi (che senza auto-tune centrerebbero ben poche note), figlia della convinta partecipazione al pensiero woke di Amadeus, che ritiene la battaglia per la cosiddetta “diversità” una assoluta priorità. E non si dica che questa è una considerazione omofoba: se un torneo della canzone italiana deve rappresentare tutti i segmenti della popolazione, canora e non, non si capisce perché tra i concorrenti devono prevalere le presenze cosiddette fluide, come se costituissero la maggioranza nel Paese.
È ovvio che occorre avere il massimo rispetto per ogni scelta di tipo sessuale – ci mancherebbe –, ma la Rai, servizio pubblico, non può darci questa rappresentazione non vera della società, e oltraggiare il buon senso e il buon gusto fino a proiettare peni volanti sullo sfondo del palco di Rosa Chemical mentre canta, nello spazio Suzuki, “Ti piace che sono perverso, e non mi giudichi se metterò il rossetto in ufficio lunedì. Da due passiamo a tre, più siamo e meglio è. Ci dicono di no. E adesso ci lasciate fare il sesso made in Italy” etc. Quel Rosa Chemical che già l’anno scorso aveva baciato in bocca Fedez e mimato con lui un coito: errare humanum, perseverare diabolicum.
Il problema in Rai – per dirla ancora alla latina – è: quis custodiet custodes? A parte gli aspetti politici, per cui chi governa tende a controllare il più possibile l’informazione, nessuno sembra essere in grado di controllare gli altri contenuti, sicché non si è potuta impedire nemmeno una grandiosa gaffe come quella di far ballare il ballo del qua qua a John Travolta.
Persino Fiorello è parso perdere smalto, con le sue sempre più prevedibili goliardate e la sua stranita compagnia di Viva Rai2, troppo pronta a sganasciarsi per ogni battuta anche modesta. Non c’è niente di peggio, infatti, di sentirli ridere tra loro prima ancora che possano farlo gli ascoltatori. Per non parlare della spesso eccessiva Marcuzzi, nella parte di una soubrette che non si sa se ci fa o ci è.
A proposito, il Festival è incorso in un’altra grave sgrammaticatura, che ogni anno si fa più evidente: lo sgangherato urlìo del pubblico della galleria, che in realtà è una gigantesca claque agli ordini di alcuni forzuti vigilantes incaricati di scatenarla a comando. In molti casi l’effetto risulta troppo incoerente e straniante quando ciò che accade sul palco non merita alcun particolare entusiasmo.
Ma Sanremo è Sanremo, e per un’incredibile alchimia fa sempre grandi ascolti per i più svariati motivi, il che consente ai vertici di turno di emettere sempre bollettini trionfanti.
Sorpresa: alle 2 si scopre che i cantanti “fluidi” sono stati esclusi dalla cinquina dei finalisti da rivotare, dove sono entrate due bravissime donne. Ma per occupare il tempo della nuova votazione, Amadeus ci ammolla Lazza, un altro rappettaro che lui rimpiange di non aver fatto in tempo ad ammettere alla gara. Un altro motivo per non rimpiangere il fatto che questo è l’ultimo Sanremo di cui Amadeus fa il direttore artistico: gusti troppo monocordi, che il grande pubblico ha dimostrato di non condividere.
Infatti alla fine vince la giovane Angelina Mango, figlia d’arte, con una canzone che riprende una danza tradizionale colombiana, la cumbia. Un inno a reagire alle tristezze della vita con allegria. Va detto che Angelina aveva già conquistato il pubblico la sera delle cover con una commovente esecuzione di un brano del padre, La rondine, accompagnata dal quartetto d’archi dell’Orchestra di Roma. Inoltre ha vinto assai meritatamente anche il premio Lucio Dalla assegnato dalla Sala stampa, e il Premio Bigazzi assegnato dall’Orchestra.
Evviva. Ha vinto la musica. Quella degna di questo nome.
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