Avevo snobbato il film Anora (2024) Palma d’Oro a Cannes, ma poi, visti i cinque Oscar in saccoccia, ho deciso di vederlo. Non spendete euri e tempo inutilmente, per la prima volta scrivo di una pellicola che consiglio di non guardare. Non per moralismo o bigottismo, è un film che non resterà nella storia del cinema, non voglio esagerare con la battuta di Fantozzi sulla corazzata russa, ma poco ci manca.
Partiamo dalla durata di Anora, sono 134 minuti, troppo lungo. Per dire cosa? Vanja, uno sbarbato figlio di oligarca russo, vive a new York in una villa stratosferica e si trastulla tra sex, drugs, alcol e feste incontrando la stripper (e non solo) Anora (Mikey Madison), che preferisce farsi chiamare Ani. Lui è viziato e pieno di grana, lei per i dollari farebbe di tutto e forse s’innamora veramente del bocia.
Favola alla Cenerentola? Sì e lei lo dice anche (battuta che avevo previsto). I due si sposano a Las Vegas e iniziano a vivere insieme per qualche giorno. Questa è la prima mezz’ora di Anora, sex a manetta, eccessi pure.
Poi da film vietato ai minori si passa alla commedia per altri trenta minuti. Nella super villa arriva T’oros, il tutor armeno del ragazzetto con due bodyguard, mentre Vanja scappa. Strilli isterici di Ani, spacca il naso a Garnik, il più grosso degli energumeni, mentre Igor (Jurij Borisov) giovane di poche parole sembra stralunato e fuori luogo. I tre fanno una figura barbina e poi si continua per altri trenta minuti in giro per locali alla ricerca dello sbarbato, continuando a fare figure da pirla, finché non acchiappano l’imbriaco Vanja nel locale dove aveva incontrato Ani.
Il rampollo ha svergognato i genitori sposando una poco di buono e perciò devono divorziare, ma si sono sposati a Las Vegas e il giudice della Grande Mela li rimbalza in Nevada. Con il jet privato arrivano i genitori oligarchi, portano tutti nella città del vizio e lì la madre mette sotto i piedi la povera stripper che accetta di firmare il divorzio con tanto di umiliazione da parte di Vanja nei confronti della ragazza.
Salvo gli ultimi dieci minuti del film Anora. Lo stralunato (apparentemente) Igor, considerato da Ani un gopnik (sfigatissimo) si erge a difensore della ragazza: Vanja dovrebbe chiederle scusa. Ma si piglia dei sonori vaffa.
La accompagna a casa e tira fuori dalla tasca l’anello di matrimonio che le era stato sottratto dal tutor. Ani si scioglie, gli salta addosso (non poteva mancare una scena simile dopo un’ora e mezza di film senza sex), ma mentre stanno cupolando e lui cerca di baciarla, lei lo schiaffeggia, ma poi si fa abbracciare piangendo. E il film finisce.
Vabbè, se l’avessero girato i Manetti Bros avrebbero fatto sicuramente meglio (vedi Song’e Napule e Ammore e malavita), sia come storia che come film in generale, ma non avrebbero vinto Cannes e neppure cinque Oscar.
Statuetta per la sceneggiatura originale e montaggio? Non scherziamo. Il regista Sean Baker passa per un fenomeno perché ha speso solo sei milioni di dollari? E si vede, ha girato in pellicola utilizzando varie ottiche per totali e primi piani utilizzando poco il grandangolo che appiattisce (così dice) e poi montato con Adobe Premiere e virato (colorizzato) con il programma gratuito Da Vinci. Fate per cortesia un confronto tecnico con i lavori di Christopher Nolan e poi ne parliamo. Anche l’Oscar all’attrice Mikey Madison è esagerato, tromba e strilla tutto il tempo.
Anora prende in giro gli armeni e i russi e ci sono delle gags banalissime, non so se questo sia il nuovo corso di Hollywood, ma si è passati da pellicole con sovra inclusione delle varie razze (mancavano sempre però i boeri) e dallo sfrontato ed eccessivo lgbtismo alla pornografia uomo-donna classica in cui si rispecchia (e per cui è andato a processo) Donald Trump. Ma il punto è che la storia è di una banalità eclatante.
Quasi quasi mi vien voglia di vedere, nell’altro piatto della bilancia, il trombato film Emilia Perez.
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