L’anoressia dipende (anche) dal Dna: lo rende noto una ricerca pubblicata sulla rivista “Science”, una delle pubblicazioni più prestigiose a livello medico e scientifico, frutto di una serie di studi che hanno portato all’individuazione delle cosiddette radici biologiche della malattia. Fra coloro che l’hanno studiata da vicino figura anche la neuroscienziata dello sviluppo della Columbia University, Lory Zelter, la quale ha fatto ricorso ad alcuni topo di laboratorio, analizzando la loro tendenza all’obesità da adulti e, al tempo stesso, esemplari affetti da anoressia.
I risultati, figli di ricerche incrociate, sono stati sorprendenti, in quanto hanno consentito di dimostrare che il rischio di sviluppare l’anoressia è attribuibile all’acido desossiribonucleico dell’essere vivente per almeno il 50-60%. Ad avvalorare tale tesi, oltre ai meri dati numerici, vi è anche l’impiego di un farmaco antipsicotico che, complici i suoi effetti collaterali, dovrebbe contribuire a provocare l’aumento di peso, ma esso non ha sortito alcun effetto nelle persone affette dalla malattia, contribuendo, di conseguenza, a rinforzare l’ipotesi biologica.
ANORESSIA, LO STUDIO: C’ENTRA SOPRATTUTTO IL DNA, MA LA PSICOLOGIA…
L’anoressia, di conseguenza, viene determinata soprattutto dal Dna. Come riporta l’Huffington Post, studi italiani apparsi sulla rivista Nature Genetics nel 2019 hanno rivelato che la predisposizione genetica non influisce solo sugli aspetti psichici della malattia, ma anche per quelli fisici: “Esisterebbe infatti una predisposizione alla magrezza e una alterazione del metabolismo che predispone alle ricadute anche dopo lunghi periodi di riabilitazione”.
In particolare, prosegue il testo, il gruppo di ricerca capitanato dalla professoressa Angela Favaro, direttrice della clinica psichiatrica del dipartimento di neuroscienze dell’Università di Padova, ha ribadito che esistono fattori ambientali diversi rilevati nella storia dei pazienti con anoressia, come “complicanze al momento della nascita, situazioni di stress in gravidanza, modificazioni di alcuni circuiti cerebrali come quelli legati alla gratificazione e all’apprendimento che potrebbero spiegare la reazione emotiva dei pazienti di fronte al digiuno”. Insomma, i genitori non avrebbero colpe particolari nei confronti dei figli affetti da tale patologia, anche se la psicologia mantiene sempre il suo peso ed è importante mantenerla in equilibrio per evitare peggioramenti ulteriori.