L’anoressia ha una base genetica. Da qualche anno si è notata la differenza nel microbiota tra persone normopeso e anoressiche: dunque, il disturbo potrebbe essere insito nel Dna. Come confermato dal professor Antonio Gasbarrini, presidente della facoltà di Medicina e Chirurgia della Cattolica di Roma, non era stato dimostrato se la differenza fosse causa o conseguenza dell’anoressia. Ad indagare a sciogliere il dubbio sono stati alcuni ricercatori danesi, dell’Università di Copenaghen, che hanno trapiantato il microbiota “malato” nell’intestino di topi sani. Questi, in poco tempo hanno iniziato ad avere meno fame, faticando a prendere peso e mostrando disturbi comportamentali.
Dunque, il microbiota sarebbe causa dell’anoressia e i risultati sostengono dunque la tesi della trasmissibilità. La conferma, secondo Gasbarrini, si potrebbe avere con l’operazione contraria, ovvero trapiantando fauna batterica sana nell’intestino di chi soffre di anoressia per vedere se riesca a migliorare e a guarire.
Perdita di peso e non solo: tutti i disturbi
L’anoressia nervosa in Italia tocca 3 milioni di persone: un’altissima percentuale, del 96%, è di donne. Anche gli uomini però sono in crescita, come fa notare Laura Di Renzo, direttore della scuola di specializzazione in Scienza dell’alimentazione dell’Università Tor Vergata. L’età media della diagnosi di anoressia è a 17 anni. Nell’ultimo anno sono stati 102 i nuovi casi: il 6% di chi ne soffre non riesce ad uscirne. Il 35,6% di chi soffre di anoressia nervosa tenta il suicidio mentre il 9,5% ha attacchi di panico e il 4,6% comportamenti autolesionisti.
Il 35% dei pazienti anoressici non ha sintomi espliciti, dunque spesso è difficile che venga diagnosticata la malattia. Di Rienzo spiega ancora: “Per arrivare alla guarigione il risultato dipende dalla volontà del paziente di intraprendere un percorso di cura e quindi dalla partecipazione alle scelte. Ma non bisogna perdere tempo: ai primi campanelli di allarme, è bene rivolgersi ai centri specialistici”.