Anticorpi monoclonali a casa: è questa la svolta che si profila nella lotta contro il Covid-19, a partire appunto dalle cure domiciliari. Come riportato da Il Messaggero, il nuovo protocollo prevede per la somministrazione degli stessi un coordinamento da parte dei centri ospedalieri. Non tutti i pazienti hanno accesso alle cure, soltanto una tipologia definita, e a patto che non abbiano già sviluppato la polmonite. Le direttive elaborate dal Dipartimento prevenzione del Ministero della Salute, pronto per essere diffuso dopo aver integrato alcune osservazioni del Consiglio superiore di sanità, prevede che gli anticorpi monoclonali siano somministrati solo nella prima fase della malattia a quei pazienti che rischiano di finire in terapia intensiva: ad esempio obesi, diabetici e soggetti in dialisi. Il nuovo protocollo di cure domiciliari introduce un algoritmo per calcolare il livello di rischio dei positivi, nonché una serie di test pratici (del cammino e della sedia) per valutare la presenza di desaturazione sotto sforzo. Viene poi fatta chiarezza su alcuni farmaci: l’idrossiclorochina viene definitivamente scartata, mentre l’eparina viene considerata utile ma solo in alcuni casi, ad esempio nel trattamento di persone obese, affette da diabete o in dialisi.



ANTICORPI MONOCLONALI, NUOVO PROTOCOLLO CURE DOMICILIARI

Una delle maggiori novità riguarda poi il tema della “vigile attesa” del paziente, nei mesi scorsi oggetto di feroci discussioni. Una volta accertata la positività di un soggetto, il medico di famiglia non potrà limitarsi a prescrivere paracetamolo ed abbandonare il paziente al suo destino in assenza di sintomi ma dovrà monitorarlo per essere pronto ad intervenire. I dati da osservare diventano oltre alla temperatura la frequenza respiratoria, il livello di coscienza e la saturazione. Nella nuova versione “viene sottolineata la possibilità di avviare i pazienti affetti da Covid di recente insorgenza e con sintomi lievi-moderati, alla terapia con anticorpi monoclonali“. Per quanto riguarda “gli anti-infiammatori non steroidei (Fans)“, è invece “lasciata alla discrezionalità del medico curante la scelta rispetto al paracetamolo, in ragione delle peculiarità dei singoli casi“. Obiettivo, laddove è possibile, anticipare la reazione infiammatoria. Come si evince dalla studio pubblicato su Clinical and Medical Investigations, con questo approccio solo due pazienti su 90 (2,2 per cento) hanno avuto bisogno di ricovero (rispetto ai 13, il 14,4 per cento, del gruppo per il quale ci si era limitati alla vigile attesa, dunque la differenza è del 12,2 per cento).

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