Il 1° marzo “gli anticorpi sono stati inoculati al primo paziente in un centro a Verona – ha dichiarato il presidente di Toscana Life Sciences, Fabrizio Landi -: la sperimentazione sull’uomo ha preso il via e puntiamo di completare il percorso tra fine primavera e inizio estate. Una volta ottenuta l’approvazione daremo il via alla produzione”. Obiettivo: produrre 100mila dosi di un antidoto tutto made in Italy in tre mesi. Non solo Ely Lilli e Regeneron, dunque: nella corsa agli anticorpi monoclonali – un’arma contro il Covid-19 sinergica al vaccino – è in lizza anche il Mad Lab di Fondazione Toscana Sciences, a Siena, che ha iniziato le sue ricerche a fine febbraio 2020, arrivando al brevetto, in soli quattro mesi, lo scorso giugno. L’attività di ricerca, però, è in continua evoluzione “per il semplice fatto che anche il virus è in continua evoluzione e il nostro lavoro è quello di restare un passo avanti, continuando a seguire sia il virus che la risposta immunitaria”, come ci spiega in questa intervista Emanuele Andreano, responsabile del progetto Covid presso il Mad Lab di Fondazione Toscana Life Sciences.



Cosa sono, come funzionano e a cosa servono gli anticorpi monoclonali?

Sono delle proteine che vengono prodotte in modo naturale dal nostro sistema immunitario per difenderci dagli attacchi dei microrganismi, batteri o virus.

Come è nato il Mad Lab? E su quale anticorpo ha lavorato il Mad Lab di Toscana Life Sciences?



Il nostro gruppo di ricerca è nato all’interno della Fondazione Toscana Life Sciences, coordinato dal professor Rino Rappuoli, a fine 2018 grazie a un ERC Advanced Grant per un progetto dedicato alla antibiotico-resistenza. Ci siamo occupati di Shigella, Klebsiella pneumoniae, fino al più recente lavoro sul coronavirus Sars-CoV-2. Ricerca, questa, che si è concentrata sull’identificazione e lo sviluppo degli anticorpi monoclonali selezionati dal sangue di pazienti convalescenti, curati all’istituto Spallanzani di Roma e all’Azienda Ospedaliero-Universitaria Senese. Un progetto che ci ha permesso di lavorare su oltre 4mila cellule B, dal cui processo di analisi e selezione siamo arrivati a individuare MAD0004J08, l’anticorpo più potente.



A che punto siete con la vostra ricerca?

La ricerca è sempre in continua evoluzione per il semplice fatto che anche il virus è in continua evoluzione, come mostrano le varianti che stanno emergendo. Il nostro lavoro è quello di restare un passo avanti, continuando a seguire sia il virus che la risposta immunitaria, in modo tale da poter essere pronti nel momento in cui dovessero insorgere nuove varianti per cui si rende necessario sviluppare nuovi farmaci. Noi cerchiamo di anticipare i possibili sviluppi, continuando la nostra attività di ricerca.

Quali saranno i prossimi step? 

La fase di ricerca ha concluso il suo primo ciclo, nel quale abbiamo isolato più di 4mila cellule della memoria, le cellule B che producono gli anticorpi nei soggetti convalescenti al Covid. Abbiamo poi identificato più di 1.700 anticorpi in grado di legare la famosa proteina Spike del coronavirus, la proteina chiave che permette al virus di entrare nelle cellule dell’ospite. Di questi 1.700 più di 450 sono risultati essere in grado di neutralizzare il virus e alla fine, fra tre di questi, abbiamo scelto il candidato per la sperimentazione clinica.

Gli anticorpi agiscono sia come mezzo preventivo che terapeutico?

Assolutamente sì. Gli anticorpi monoclonali possono essere utilizzati sia preventivamente, cioè somministrati prima dell’infezione, per evitarne l’insorgere, o in maniera terapeutica, cioè a soggetti che hanno già contratto la malattia.

Che differenza c’è tra anticorpi monoclonali e vaccini?

Enorme. I vaccini servono all’immunità attiva, ovvero viene somministrata la molecola che stimola il sistema immunitario di modo che il soggetto possa poi essere protetto. I vaccini attualmente a disposizione prevedono una prima dose, più una di richiamo dopo 21-28 giorni e dopo due settimane circa dalla seconda dose il vaccino dà un’immunità robusta. E’ un’immunità che permane per più tempo.

E gli anticorpi monoclonali?

Servono per quella che viene definita l’immunizzazione passiva. Nel momento in cui viene somministrato l’anticorpo monoclonale entra subito in funzione, è già pronto a combattere il virus, ma i tempi di permanenza sono più bassi, il che rende necessario, dopo 3-6 mesi, effettuare una seconda dose.

Anticorpi monoclonali e vaccini possono quindi coesistere?

Sono del tutto sinergici per far sì che si abbiano a disposizione tutte le armi per contrastare questa pandemia, per prevenirla a livello di contagi di massa, creando la cosiddetta immunità di gregge.

(Marco Biscella)

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