Gli anticorpi monoclonali si sono rivelati efficaci nel trattamento nella prima fase del Covid dei malati più a rischio, eppure sono stati usati poco tra limiti sanitari e burocrazia. L’Italia ha acquistato 150mila dosi e, come indicato dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), i centri abilitati al trattamento sono 368, ma effettivamente li somministrano poco più di cento. Quindi, i pazienti trattati fino al 31 marzo sono stati poco più di un migliaio. Tra le Regioni più virtuose il Veneto con quasi 300 somministrazioni, a seguire Toscana e Lazio (150), invece il Molise si ferma a 4 e la Calabria arriva ad uno. Perché gli anticorpi monoclonali vengono snobbati, anche se sono utili per “salvare” quei pazienti fragili che rischiano l’ospedalizzazione e la morte? “Il problema di fondo è che il meccanismo è complicato, perché tutto funzioni serve una continuità assistenziale territoriale a regola”, la spiegazione fornita da Francesco Menichetti, direttore di Malattie infettive dell’azienda ospedaliera Pisana, a Il Messaggero.



Il medico di famiglia o le Usca segnalano il paziente da trattare, ma dopo un test diagnostico a carico del malato. E tutto deve avvenire nel giro di 5 giorni. Dunque, il meccanismo si può inceppare facilmente. La questione è nota da tempo: “Bisogna consentire ai medici di avere tamponi veloci”, spiega Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici Chirurghi e odontoiatri.



ANTICORPI MONOCLONALI USATI POCO

Anche la selezione dei pazienti è problematica. A ciò si aggiunge la difficoltà da parte degli ospedali, che sono già sotto pressione. “Bisogna migliorare il sistema e renderlo efficiente”, dichiara il farmacologo Filippo Drago, responsabile del centro hub per l’erogazione degli anticorpi monoclonali nella Sicilia orientale. “Per esempio non è di facile soluzione capire chi deve trasportare il paziente da casa al centro erogatore, usare un’ambulanza costa”. Silvestro Scotti, segretario generale nazionale della Federazione italiana medici di medicina generale, difende la categoria, perché non sono loro a rallentare il meccanismo. “Non sappiamo a chi ci dobbiamo rivolgere, non esiste una piattaforma informatica su cui collegarci. E poi manca la formazione. Non è stato previsto neanche un corso sui monoclonali”. L’altro problema è che se non si fa in fretta si rischia di sprecare questa occasione, visto che le varianti potrebbero rendere inutili gli anticorpi monoclonali, quindi alla fine le dosi non usate andrebbero sprecate.



ANTICORPI MONOCLONALI, PARLA BASSETTI

Degli anticorpi monoclonali ha parlato ieri anche Matteo Bassetti, direttore di Malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova. “Io non capisco perché in molte regioni non vengano usati”, ha dichiarato ieri l’infettivologo a Domenica In. Infatti, ha spiegato che almeno 80 pazienti in Liguria in 15 giorni sono stati trattati con gli anticorpi monoclonali, poi sono stati mandati a casa e non hanno evidenziato alcun problema. “Abbiamo degli ottimi risultati quando questi farmaci sono fatti in una fase precoce della malattia, bisogna lavorare bene con medici di medicina generale”. Anche per questo, dunque, la situazione in Liguria è migliorata negli ultimi giorni. “Arrivano molti meno malati in pronto soccorso, sono dimessi moltissimi e con degenze più corte. Forse perché abbiamo saputo cogliere la palla al balzo degli anticorpi monoclonali. Spiace che non sia così altrove”.