La notizia, pubblicata sull’importante rivista scientifica Nature, della creazione in laboratorio di un nuovo super anticorpo in grado di fermare il Covid-19, le sue varianti e anche prevenire la malattia, sulla carta sembra qualcosa di sensazionale. Nella pratica lo è molto meno, come ci ha spiegato il professor Antonio Cassone, ordinario di Microbiologia medica all’Università La Sapienza di Roma: “Esperimenti del genere per altre patologie, cioè la creazione di anticorpi monoclonali, sono già stati fatti, li ho condotti anch’io, e quindi era prevedibile si arrivasse anche a realizzarlo per il Covid.



E’ senza dubbio una grande notizia dal punto di vista scientifico, meno da quello della sua applicabilità. Intanto per adesso l’esperimento è stato fatto su topi geneticamente modificati, bisognerà valutare tutto il trial apposito sull’uomo per vedere se funziona. E poi la produzione di questi anticorpi è assai costosa, perché si tratta di un lavoro di ingegneria di altissimo livello. Bisognerà quindi capire il rapporto costi-benefici”.



Uno studio condotto da ricercatori europei, tra cui anche del Policlinico San Matteo di Pavia, avrebbe prodotto un anticorpo monoclonale in grado di fermare non solo il Covid, ma soprattutto le sue varianti, che oggi preoccupano molto. Ritiene sia una scoperta importante e decisiva? Una svolta?

Di anticorpi monoclonali per contrastare il Covid ne sono stati già realizzati parecchi, per esempio anche all’Università di Siena. Alcuni sono anche già stati usati.  Il problema è però questo: gli anticorpi monoclonali funzionano un po’, poi però l’arrivo delle varianti li hanno resi inutilizzabili e si è perso l’entusiasmo, perché molte varianti non si lasciano neutralizzare dall’anticorpo monoclonale.



Perché?

L’anticorpo non fa altro che riprodurre passivamente quello che fa attivamente il vaccino. Quando si utilizza il vaccino, si producono anticorpi che hanno diverse specificità policlonali. Dalle cellule dei malati si possono ricavare informazioni genetiche con le quali si possono creare anticorpi in coltura e in vitro, dai quali poi generare anticorpi monoclonali. Il virus invece ha una specificità policlonale.

Che differenza c’è fra monoclonale e policlonale?

Se uno ha un antigene, se noi osserviamo la proteina spike causa del virus, vediamo che ha diversi epitopi che inducono la risposta anticorporale per quello specifico epitopo. Quando faccio il vaccino, produco tanti anticorpi per ogni pezzetto della proteina, gli epitopi policlonali, una varietà di anticorpi per la specificità di reagire alla particolarità della molecola.

Il monoclonale invece reagisce a un solo epitopo?

Esatto, i monoclonali reagiscono a un epitopo specifico, hanno una altissima specificità, ma non è la stessa cosa di un vaccino. Se ne fai uno solo, non hai l’ampia copertura garantita dal vaccino, per quello abbiamo anche prodotto i cosiddetti cocktail di anticorpi monoclonali, che vedono più parti della proteina spike. Questa era l’idea finora, dopo di che è stata realizzata una cosa che avevo fatto anche io per altre patologie: l’anticorpo bispecifico.

Che agisce a doppia azione, giusto? Riconosce contemporaneamente due diversi antigeni del virus?

L’anticorpo monoclonale è sempre uno, ma con ingegneria genetica e chimica si può fare un unico anticorpo che però può legare due pezzi distinti della proteina spike. Ogni anticorpo è bivalente, ha due catene che vedono due punti della molecola e vi si agganciano. Allora si può fare in modo che questi due punti vadano ad agganciarsi a due punti diversi dello spike. Un monoclonale che però aggancia due punti distinti, ad esempio due mutazioni di una variante pericolosa.

Come nel caso della variante indiana che ha due mutazioni nello stesso virus?

Sì, potrebbe. Al momento però è stato fatto un esperimento con un topo geneticamente modificato, ottenendo un modello, che in teoria potrebbe essere attivo contro delle varianti con due mutazioni distinte. Ma come tutti i monoclonali bisogna adesso sperimentarlo nell’uomo.

L’anticorpo bispecifico potrebbe anche prevenire la malattia? In che modo?

Come con tutti i monoclonali bisogna che lo bispecifico venga somministrato prestissimo, perché questa malattia ha il problema che il virus è la causa, ma poi va avanti per conto suo. Una volta che parte la malattia, il virus non c’entra più niente, quindi se si introduce un anticorpo subito, si blocca l’infezione, ma se lo si fa dopo che l’infezione è già cominciata, non si ottiene niente.

Si tratta, insomma, di una prevenzione relativa?

L’anticorpo monoclonale potrebbe essere utile nel prevenire chi è massimamente esposto al virus, ad esempio in ospedale. Se c’è un cluster e gli operatori sanitari possono essere infettati, allora è possibile fare prevenzione con l’anticorpo monoclonale per proteggerli. Ovviamente il bispecifico è costoso, perché necessita di un livello di ingegneria altissimo. Personalmente credo sia un gran risultato scientifico, però bisognerà poi vedere la sua applicazione, ammesso sia possibile per l’uomo, in quale specifica situazione potrà essere utilizzata, dopo aver calcolato il rapporto costi/benefici. L’utilità pratica è tutta da dimostrare.

(Paolo Vites)

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