Le recenti polemiche sorte sul tema dell’antifascismo mi hanno suggerito qualche riflessione, nata più da esperienze personali che da elucubrazioni cerebrali. Vengo da una famiglia cattolico-liberale, educato fin da piccolo soprattutto dal nonno materno a considerare il fascismo come qualcosa di deteriore, come un fenomeno che prima che portare il nostro Paese alla guerra l’aveva portato ad una sorta di abbruttimento. Sì, direi che l’antifascismo del nonno più che politico era estetico, cosa che si confaceva ad un uomo di teatro.



Così aveva mandato mia madre a studiare dalle Marcelline, lui che certo non era un “paolotto”, scrivendo sul muro della cucina, in dialetto milanese, la frase: “Piuttosto dalle monache che dai fascisti”. Infatti chi andava nelle loro scuole era, almeno in parte, preservato dalla propaganda delle scuole “pubbliche”, in mano al regime. Non a caso mia madre ricevette così una severa educazione cattolica che la portò anche, giovanissima, a partecipare attivamente alla Resistenza. Cosa di cui siamo venuti a conoscenza maggiormente quando, dopo la sua morte, potemmo aprire il suo “armadio segreto”. Non si era mai vantata della sua “lotta per la libertà”, ma l’aveva poi continuata quando la libertà sarebbe stata messa in discussione da altri, anche da alcuni che oggi si proclamano antifascisti.



Per quanto mi riguarda, la mia militanza “antifascista” si esercita negli anni 80 quando alcuni amici del sindacato mi chiedono di ospitare in casa, con la massima discrezione possibile, il professor José B.B. (trascuro i cognomi per sicurezza), docente di diritto della navigazione dell’Università di Lima. Esponente di primo piano della sinistra, dopo il colpo di stato di Pinochet in Cile, e quello seguente dei militari in Perù, era dovuto fuggire in Italia, dove, a Firenze, un suo compagno di partito era stato già ucciso dagli agenti dei fascisti (quelli veri che sparano, non quei pirlotti che si divertono a recitare una parte). I miei ragazzi, allora ragazzini, di san Basilio, si ricordano ancora quell’esperienza di essere complici di una specie di antifascismo pacifico, ma militante.



Del resto oggi sembrerebbe che l’essere anti, l’essere contro, l’essere a tutti i costi anticonformisti, sia più importante dal proporre in positivo qualcosa. No alla guerra, certo, ma per quale pace? No alla discriminazione delle donne, degli omosessuali, perché no, anche degli animali; e perché invece non dei bambini che vorrebbero nascere, cioè esserci? Perché per combattere il fascismo, magari senza accorgersi, si ripetono i suoi metodi, quando una minoranza pretende di decidere per tutti, non lasciando spazio non solo ai fascisti, ma anche agli altri, che fascisti non sono?

Sia chiaro: anche essere anticomunisti oggi appare qualcosa di patetico, se col comunismo si identifica quel mondo sovietico i cui eredi, proprio in nome dell’antifascismo, hanno invaso l’Ucraina. La caduta del muro di Berlino ha segnato la fine di quel mondo, ma la vittoria è stata alla fine di tante versioni del capitalismo, compresa quella preferita da gran parte dell’attuale sinistra europea, che ha scelto, pare, il modello americano dei cosiddetti radical chic.

Così si predica l’accoglienza, perché sia poi scaricata sulle spalle degli altri, senza avere il coraggio di ammettere che tanti giovani scappano dai loro Paesi non solo per le palesi ingiustizie dei loro regimi, ma anche per il mito di quel benessere a cui tutti, destra o sinistra, si sono consacrati in Occidente.

Le manifestazioni per la Palestina aprono poi una difficile questione. Certo, basta col massacro della gente di Gaza, e non solo, ma poi? Facciamo fuori tutti gli ebrei come vuole Hamas, e come aveva progettato un ometto tedesco nel secolo scorso? Non ho un giudizio del tutto negativo su queste manifestazioni, anche se mi pare si sta affermando un metodo che sembra essere mutuato proprio dal fascismo, di cui il rifiuto a collaborazioni sul piano culturale-scientifico con le università israeliane è un altro aspetto preoccupante.

Sono sicuro che molti ragazzi, magari non moltissimi, hanno trovato, partecipando a queste manifestazioni, non solo un diversivo a noiose lezioni, ma anche, sulla scia di una giusta indignazione per quello che sta succedendo a Gaza, una domanda su di sé e su cosa si vuole dalla vita. Ma proprio a questa domanda non può rispondere solo l’idea dell’essere-contro. A questa domanda questi ragazzi hanno diritto di avere altre risposte. E non solo nel campo della politica.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI