Proprio come una meteora, ogni tanto a sinistra appare e scompare il tema dell’antifascismo. Era da un bel po’ che esso si era allontanato dai riflettori, eppure è tornato in voga a partire dalla campagna elettorale dello scorso settembre e viene invocato in svariate occasioni.

Penso ad esempio a una lettera che la preside di un liceo fiorentino ha indirizzato ai suoi studenti a seguito di gravi episodi di violenza (il pestaggio all’esterno del Liceo Michelangiolo, ndr), penso anche alle ripetute accuse che vengono mosse nei confronti del partito della destra italiana, Fratelli d’Italia, penso inoltre ai cortei e alle manifestazioni di piazza, alle occupazioni studentesche, ad alcuni che spesso a caso esclamano: “Oddio, c’è il pericolo fascista!”.



Sembra quasi che si voglia creare un nemico inesistente (il fascismo) per non essere costretti a fare i conti con una realtà che è diversa da come la si immagina.

La questione che voglio porre è la seguente: dato che il libro della storia ha voltato pagina con alcuni segni chiari e inequivocabili riguardanti la destra italiana, ha ancora senso parlare di fascismo e antifascismo al giorno d’oggi, nel 2023? Provo a dare qualche coordinata di questi segni, forse poco ricordati.



Nel gennaio 1995 si svolse a Fiuggi un importante congresso del Msi-Dn (Movimento sociale italiano-Destra nazionale); era questo il partito in cui militavano “anche” molti post-fascisti, e sottolineo volutamente la parola “anche” in quanto una vasta componente di militanti era costituita da ex monarchici a partire dal 1972. Quel congresso, voluto dall’allora segretario del partito Gianfranco Fini, fu molto importante perché segnava un punto di rottura con il passato. Il Msi cambiava volto in An (Alleanza nazionale), condannando in modo inequivocabile il regime fascista e divenendo un partito di destra liberal-conservatrice di stampo europeo e con cultura di governo. Per dirla con l’espressione dell’allora deputato Gennaro Malgieri, “si uscì dalla casa del padre con la certezza di non farvi più ritorno, con l’imperativo di non rinnegare e non restaurare ciò che era stato”. Si riconobbe con precisione che l’antifascismo fu un momento storicamente necessario per il ritorno di quei valori democratici che il fascismo aveva conculcato.



Altrettanto significativo fu il viaggio che alcuni esponenti del neonato partito fecero in Israele, in cui davanti alle comunità ebraiche definirono il fascismo come il “male assoluto” e dichiararono l’infamia delle leggi razziali.

Per chi è intellettualmente onesto, il congresso di Fiuggi pose fine a una stagione. In quel tempo la sinistra prese atto che non era più opportuno parlare di allarme fascismo e antifascismo, riconoscendo il percorso di piena legittimazione che An stava conducendo a livello democratico.

Proseguo nel ricordare altri fatti che suggellano questo riconoscimento.

Nel 1996 il neoeletto presidente della Camera Luciano Violante, nel suo discorso di insediamento, affermò che “per fare della Liberazione un momento unitario e condiviso bisognava guardare ai vinti di ieri, ai ragazzi di Salò”, ricevendo gli applausi dei deputati di An. Questo concetto apriva a una pacificazione nazionale che ponesse fine all’interminabile dopoguerra. Anche l’attuale presidente del Senato, Ignazio La Russa, lo scorso ottobre nel suo discorso di insediamento ha ripreso i concetti di Violante.

Nel 1997 il segretario di An Gianfranco Fini e il segretario dei Ds Massimo D’Alema diedero vita a un accordo per istituire una commissione bicamerale per le riforme costituzionali. Destra e sinistra insieme per cambiare la Costituzione.

Nel 1999 Fini e il nuovo segretario dei Ds Walter Veltroni si accordarono per l’elezione di Carlo Azeglio Ciampi alla Presidenza della Repubblica. Destra e sinistra insieme per eleggere una figura altamente rappresentativa di tutti. E la predicazione laica del presidente Ciampi spinse ancora di più verso l’unità e la pacificazione nazionale di cui accennavo poc’anzi.

Inoltre, da nessun esponente di sinistra si ebbe contestazione circa la presenza della fiamma tricolore sul simbolo di An, in quanto si trattava di una semplice fiamma tricolore senza alcun retaggio storico, come ad esempio quella che troviamo sulle divise delle pattuglie acrobatiche.

Nel 2012 alcuni ex esponenti del Pdl diedero vita a una nuova casa della destra conservatrice col nome di “Fratelli d’Italia”, e neanche in quell’occasione qualcuno pensò che potessero tornare i fascisti.

Cosa vuol significare questa breve carrellata storica? Che il tema fascismo è stato superato da molti anni e che la destra italiana, sin da Fiuggi, ha riconosciuto l’antifascismo come valore condiviso e non ha mai rimesso in dubbio tale posizione.

Eppure da un po’ di tempo a questa parte la sinistra ha riportato in auge il tema, mettendo in discussione il cammino fatto finora dalla destra. E a tal proposito viene da riflettere su questo: non si può utilizzare l’antifascismo come un interruttore da accendere-spegnere a proprio piacimento. Un uso spropositato del termine antifascismo lo mortifica, così come è altrettanto umiliante assistere nel nome dell’antifascismo a minacce, manichini a testa in giù, impedimento a qualcuno di esprimere la propria opinione.

Nel lontano 1974 Pasolini sulle pagine del Corriere metteva in guardia dal fascismo degli antifascisti, proprio perché tutti i democratici sono antifascisti, ma non tutti gli antifascisti hanno atteggiamenti democratici.

Sarebbe dunque auspicabile il riconoscimento dell’antifascismo come baluardo di democrazia e libertà, prendendo le distanze dai fenomeni degenerativi. Così come sarebbe auspicabile consegnare alla storia la contrapposizione tra fascisti e antifascisti, auspicando di guardare avanti per realizzare quella pacificazione nazionale di cui si parla tanto.

Altrimenti rimarremo l’unico Paese europeo ancora alle prese con un fenomeno storico nato 100 anni fa e morto quasi 80 anni fa.

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