GIUSEPPE SOTTILE DISTRUGGE IL “COMPLOTTISMO DELL’ANTIMAFIA”
Prima le riflessioni del Ministro Nordio sul reato di concorso esterno in associazione mafiosa, poi le indagini della Procura di Firenze ancora contro Silvio Berlusconi anche dopo la sua morte, infine la presenza della Premier Giorgia Meloni oggi a Palermo per le commemorazioni a 31 anni dalla Strage di Via d’Amelio (dove la Mafia uccise il giudice Salvatore Borsellino): lo scontro tra politica e magistrati (che si aggiunge alla lunga lista di giudici che non digeriscono l’impianto della riforma della giustizia targata Carlo Nordio, ndr) si arricchisce delle tesi di molti protagonisti dell’Antimafia nazionale che vedono nel Centrodestra al Governo un pericolo e non un aiuto per la lotta alla criminalità organizzata.
Lo spiega bene in un lungo editoriale oggi su “Il Foglio” il cronista esperto in materia Giuseppe Sottile, tra i pochi ad avanzare qualche ragionevole dubbio alle tesi dei pm che nei decenni hanno immaginato teoremi e teorie anche più disparate di “trattative” tra Cosa Nostra e politica. Teoremi poi prontamente smontati in ogni sentenza della magistratura, anche di recente: «La Cassazione ha detto che lo stato non è mai sceso a patti con i boss di Cosa Nostra per sovvertire l’ordine democratico, ma i magistrati della famigerata trattativa ha preferito non ascoltarla», scrive Sottile ricordando il processo durato 12 anni sulla presunta “Trattativa Stato-Mafia” concluso con la piena assoluzioni degli imputati.
“BASTA COMPARARE POTERE POLITICO E STRAGI”: SOTTILE SUI CASI BERLUSCONI E NORDIO
Come scrive ancora Sottile oggi sul “Foglio” sempre sul tema dell’antimafia militante, «la luce della Cassazione, con una sentenza che non si presta né ad equivoci né a interpretazioni, ha tagliato le tenebre di un processo durato quasi dodici anni, ha smontato le elucubrazioni di una boiata pazzesca e ha detto chiaro e tondo che lo stato non è mai sceso a patti con i boss di Cosa Nostra per sovvertire l’ordine democratico». Eppure quella che il giornalista descrive come una “confraternita di magistrati” coloro che avevano teorizzato la trattativa, «ha preferito non ascoltare le parole della Cassazione e ha ripreso a vagare tra le nebbie e le tenebre del vecchio teorema secondo il quale dietro le stragi mafiose del 1992 – quelle dove morirono i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino – ci sarebbe stata la regia occulta di alcuni settori deviati dello stato».
Nasce da qui e dalle successive stragi del 1993 a Firenze, Roma e Milano le indagini che arrivano fino ai giorni nostri con i pm fiorentini intenti ad indagare su Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi come potenziali mandanti di quelle stragi per mettere pressione all’allora Governo Ciampi e accelerare il processo di “discesa in campo”. «Un filone dell’antimafia chiodata, quella delle Agende Rosse, da sempre fiancheggiatrice dei magistrati che hanno costruito l’inchiesta sulla Trattativa, lascia intravedere uno scontro frontale con l’altra antimafia, quella delle cerimonie, delle corone di fiori e della liturgia commemorativa», scrive Giuseppe Sottile facendo riferimento allo scontro e polemiche di parte dell’Antimafia con la presenza della Premier Meloni, la stessa di quel Governo che è arrivato a ipotizzare una revisione del reato di concorso esterno. Secondo il cronista del “Foglio” una Repubblica fondata sul «losco comparaggio del potere politico con le stragi è una grande boiata», così come restano assurdi i teoremi di certa parte dell’Antimafia che vede veleni e complotti ovunque. E così da Mori a Subranni, da Dell’Utri a De Donno fino a Berlusconi, i vari “tirati in ballo” dalle cosiddette “Agende Rosse” vengono accusati di ogni tipo di collusione e nefandezza con Cosa Nostra salvo poi doverlo dimostrare.
P. s. Ci permettiamo allora di riportare integralmente la considerazione finale di Sottile sul “Foglio” che punta con schiettezza il vero motivo dietro l’attacco di certi “campioni dell’Antimafia” (come li definiva un certo Giovanni Falcone, ndr) ai giorni nostri: «Alla confraternita serve una perenne non-verità, come lo Stato-Mafia. Perché la non-verità offre la possibilità ai magistrati coraggiosi – a quelli più astuti o a quelli più politicizzati – di costruire teoremi capaci di scavalcare qualsiasi sentenza e di imbastire sempre nuovi processi; e dà al circo mediatico che li supporta l’opportunità di “rivelare”, a getto continuo, una fitta serie di trame oscure, mandanti esterni, registi occulti e tutto l’armamentario da fiction che, sullo sfascio generale della giustizia, consente ad attori e comparse di rilasciare un’intervista dietro l’altra, di conquistare audience in tv, di pubblicare libri che reclamizzano le loro tesi, di saltellare da un convegno all’altro, di tenere lezioni nelle scuole, di collezionare cittadinanze onorarie, di essere a ogni passo protetti da scorte imponenti e incomprensibili».