Da una recente sentenza della Cassazione potrebbe arrivare una piccola “rivoluzione” in campo giudiziario sui criteri utilizzati dall’antimafia per quanto riguarda imprese e aziende con titolari che hanno parentele “scomode” cioè familiari stretti collusi con la mafia o sottoposti a restrizioni previste per associazioni di stampo mafioso. Il pregiudizio sulla “familiarità” influirà meno sull’eventuale confisca dell’azienda. Questo secondo quanto riportato sul quotidiano Il Dubbio rappresenta un grande passo avanti, sul superamento di una norma che negli anni ha penalizzato gli imprenditori, soprattutto al Sud.



La corte di Catanzaro, lo scorso 11 aprile, ha accolto il ricorso di una giovane titolare di azienda, che aveva precedentemente chiesto una “messa alla prova” dopo essere stata interdetta. Questo perchè la ragazza voleva dimostrare di non subire alcuna influenza sulla gestione imprenditoriale, da parte del nonno, sottoposto a restrizioni perchè accusato di avere avuto rapporti con la cosca Mancuso. Dunque, come commenta il giornale, “Finalmente è stato valutato illegittimo dare per scontato che un imprenditore possa fare da prestanome per conto di un familiare legato alla mafia“.



Antimafia, quando il  pregiudizio sul “criterio di familiarità” penalizza le imprese

Eliminare progressivamente, valutando caso per caso, il pregiudizio della familiarità nell’imprenditoria quando si tratta di processi per mafia, potrebbe salvare molte aziende che invece precedentemente sono state penalizzate nelle regioni del sud per lo stesso motivo. Come riporta Il Dubbio, casi di questo genere sono stati spesso legati ad un condizionamento ed un criterio discriminante che vuole imporre una congettura secondo la quale l’imprenditore che ha parenti collusi con la mafia debba per forza essere un prestanome che lavora per conto e per interessi delle cosche criminali. Spesso infatti vengono negati anche i ricorsi fatti dai titolari, per cercare di provare l’inesistenza di una influenza dei parenti nella gestione dell’impresa.



E a causa di questa interdizione molte aziende sono costrette a cessare l’attività perchè sottoposte a sequesto giudiziario e confisca da parte della commissione antimafia.  Sicuramente i criteri di giudizio familiare permangono, in linea generale anche come misura preventiva, tuttavia, l’ultima sentenza della Cassazione, conclude il quotidiano giudiziario “rappresenta un passo avanti impossibile da ignorare per qualsiasi magistrato, amministrativo o penale che sia“.