Giorgia Meloni ha accettato la sfida di affrontare a viso aperto l’antisemitismo in Italia. Lo ha fatto da leader del primo partito nazionale, mettendosi in discussione e alla prova con il massimo dell’impegno e della trasparenza. Lo ha fatto da premier di un grande paese di un’Europa in mezzo al guado anche nel re-incarnare la Memoria della Shoah nell’esperienza democratica contemporanea.
La Commissione Segre – incaricata di studiare i fenomeni di odio – non sta mostrando altrettanta levatura politico-istituzionale. Dopo cinque anni di routine anonima e irrilevante ha dato un segno di vita, strattonata ai suoi doveri dagli stessi media che ne avevano decretato l’istituzione a furor di popolo. Ma lo ha fatto con una mossa scorretta nella forma e strumentale nella sostanza: alimentando nuovamente i dubbi sulla sua reale funzione.
Ha acquisito un controverso leak di Fanpage da una riunione chiusa di giovani FdI. Ma la commissione non è d’inchiesta: è conoscitiva. Non è una para-magistratura, non deve emettere sentenze (tanto meno politiche). Deve invece produrre raccomandazioni per il Parlamento e per il governo. Nel caso specifico: dovrebbe produrre un progetto di legge sull’antisemitismo, allineando l’Italia ai molti Paesi occidentali dotati di normative ad hoc (ad esempio sui finanziamenti pubblici o sul contrasto alle pratiche di boicottaggio contro Israele).
Nella sostanza, la commissione ha invece ignorato settimane o mesi di manifestazioni di piazza all’insegna di slogan antisemiti: manifestazioni che Fanpage non ha ritenuto meritevoli di altrettanta investigazione (ma la documentazione non manca). Un classico sono presto diventate le contestazioni pubbliche dirette e violente contro la senatrice che presiede la commissione (e che già qualche tempo fa non ha mancato di lamentarsi). Perché due pesi e due misure?
Compito della commissione è studiare tutti i “fenomeni di odio antisemita”, con il massimo dei mezzi e dell’autorevolezza consentiti dal Senato della Repubblica. Dovrebbe far luce – più di quanto abbiano fatto non solo Fanpage, ma tutti i media italiani – su tutto quanto è accaduto dopo i primi cortei di Pisa, “manganellati” dalla polizia, ma poi difesi dal Presidente della Repubblica. Dovrebbe andare a fondo sulla cacciata del direttore di Repubblica dall’Università Federico II di Napoli. Sul sequestro del senato accademico dell’Università di Torino, obbligato a stracciare seduta stante gli accordi con gli atenei israeliani (o sul sermone di un imam in quel campus). Sui danni che la Sapienza di Roma sta calcolando in questi giorni dopo mesi di occupazioni anti-israeliana. Sul doppio standard della Statale di Milano, che ha autorizzato una evento culturale filopalestinese e ha poi negato le stesse aule alle associazioni italo-israeliane.
Ecco, i rettori di queste università (tutte statali) dovrebbero essere i primi ad essere auditi in una fase di “ripartenza” della Commissione Segre: possibilmente in diretta Rai, dopo anni di testimonianze subito finite nel cestino degli archivi. Perché i capi degli atenei (statali) italiani non hanno opposto la minima resistenza a proteste antisemite di crescente violenza? Perché non hanno chiamato la polizia e sgomberato i campus, come i loro colleghi americani (tutti o quasi “democratici”)?
Una testimonianza fondamentale sarebbe anche quella del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi: oggetto di reprimenda da parte del Quirinale per aver dato ordine alle polizia di proteggere “luoghi sensibili” dell’ebraismo a Pisa. Chi più del capo del Viminale può offrire una mappa aggiornata dalle correnti di antisemitismo – soprattutto giovanile – in Italia? Piantedosi lo ha ripetuto anche l’altro giorno: l’odio antisemita più pericoloso è “nelle piazze”.
Appare non più rinviabile anche un intervento della presidente dell’Ucei, Noemi di Segni. Da mesi la presidente della comunità ebraiche italiane si sgola per denunciare la recrudescenza dell’antisemitismo sulla scia della guerra di Gaza. E siamo al punto: la Commissione Segre è il luogo dedicato a “giudicare” in modo chiaro cos’è oggi “antisemitismo”. Soprattutto se – in particolare – è tale la contestazione allo Stato d’Israele quando “difende il suo diritto all’esistenza” come ha fatto e continua a fare dopo il sanguinoso attacco di Hamas.
Un’altra voce che forse dovrebbe chiedere per prima di essere ascoltata è quella della segretaria Pd Elly Schlein: israelita di nome e cognome, figlia di un politologo israelita “dem” statunitense. La leader Pd è certa anche lei che l’antisemitismo sia una malapianta da estirpare solo nell’orto politico-culturale della premier “nera”? Oppure il caso Fanpage-FdI è solo una pagliuzza agitata ad arte per nascondere le travi antisemite piantate – e mai sepolte – nella sinistra italiana? In ogni caso: come la pensa Schlein sull’antisemitismo in Italia e sulla crisi di Gaza?
Nella Francia incandescente di questi giorni, la pregiudiziale antisemita pesa sulla sinistra antagonista di Jean-Luc Mélenchon. La sinistra israeliana, dal canto suo, è preoccupatissima che il governo dell’ultradestra nazionalista-religiosa trovi una sponda decisiva in Europa con il possibile avvento a Parigi del lepenismo anti-islamico (gemello di quello olandese, da ieri formalmente al governo all’Aja). Sempre dentro i confini Ue, nella Svezia di centrodestra in piazza viene dato alle fiamme il Corano, non la bandiera israeliana. È stata semmai la tecnocrazia di Bruxelles ad alzare via via il tiro contro il governo Netanyahu (ancora alla vigilia dell’euro-voto i ministri degli esteri dei Ventisette hanno discusso possibili sanzioni contro i coloni nei Territori). Perché non invitare davanti alla Commissione Segre anche Ursula von der Leyen, appena confermata per un quinquennio presidente della Commissione Ue? O il semi-presidente francese Emmanuel Macron, che ancora ieri – a cinque giorni da un voto per lui forse fatale – si è scagliato contro il governo israeliano?
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