Il filosofo ebreo Alain Finkielkraut nel suo ultimo libro, ‘Pêcheurs de perles‘, citato dal quotidiano Il Foglio, ha ragionato sull’antisemitismo moderno, soprattutto alla luce dei recenti attacchi che si sono registrati in tutto il mondo contro ebrei ed istituzioni ebraiche, specialmente dopo la guerra a Gaza scatenata da Hamas. Una deriva antisemita, spiega, portata avanti da quella che lui definisce “intellighenzia progressista” che porta avanti questi ideali anti-ebraici (anche se non apertamente) perché riconosce negli “ebrei di oggi gli arabi o, più precisamente, i musulmani” di ieri, con l’antisemitismo che prende sempre più il posto di quello che fino a pochi mesi fa era un’aperta e netta “islamofobia“.



Finkielkraut: “L’antisemitismo oggi è woke, democratico e antirazzista”

L’antisemitismo moderno, spiega il filosofo, affonda le sue radici nell’assunto che “gli ebrei di ieri sono ora dominanti, potenti, forti, bianchi e persino, poiché costituiscono l’avamposto dell’imperialismo occidentale, suprematisti bianchi“. Dall’altra parte, invece, chi indossa (figurativamente) “la Stella di Davide” appoggia un moderno Golia, ovvero “la supremazia militare, la voglia di conquistare, l’arroganza della forza” e criticando l’Islam “non solo contribuisco alle discriminazioni del nostro tempo, ma sostengo incondizionatamente uno stato persecutore”, ovvero Israele.



Il sionismo, nell’ottica dell’antisemitismo moderno, postula ancora il filosofo, “è l’ultimo mostro a emergere dal grembo sempre fertile” dell’apartheid e, in tal senso, poco importa che “Israele si sia ritirato da Gaza nel 2005 e che, alla fine dell’occupazione, Hamas abbia deliberatamente sacrificato il benessere dei suoi cittadini” in nome della jihad. La sinistra, infatti, continua ancora Finkielkraut, “si rifiuta di chiamare il terrorismo con il suo nome” ed, in questo contesto, l’antisemitismo diventa “woke, immacolato, benpensante, umanitario, idealista e opportunista, antirazzista e clientelista, compassionevole e calcolatore. Niente lo ferma”, sottolinea il filosofo, “perché niente lo fa sentire in colpa”, permette all’intellighenzia si sentirsi democratica e antirazzista (sostenendo l’Islam e i musulmani) e il rischio, conclude il Foglio, è che “domani per essere considerati dei sinceri democratici e antirazzisti bisognerà mostrare le credenziali antisemite“.

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