“Nel nostro ordinamento i più gravi ostacoli al funzionamento dell’economia derivano non soltanto dai comportamenti delle imprese, ma dal quadro regolatorio intriso di protezionismo corporativo e dalle prassi amministrative poco attente agli effetti delle regole sul livello di concorrenzialità dei mercati”. È uno dei passaggi più significativi dell’ultima relazione, dieci anni fa, di Antonio Catricalà quale presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, forse più nota come Antitrust. Una carica che aveva tenuto per sei anni per poi diventare sottosegretario a palazzo Chigi con Mario Monti.



Catricalà era servitore dello Stato, un grand commis, con un grande senso di responsabilità, maturato grazie alla formazione giuridica a cui ha accompagnato una particolare attenzione ai rapporti tra sistema economico e amministrazione. Significativi gli anni passati ad approfondire i temi di economia, sociologia, storia e scienza dell’amministrazione all’Istituto Luigi Sturzo di Roma, allievo di Federico Caffè, uno dei più autorevoli economisti italiani che era stato tra i docenti di riferimenti di Mario Draghi e che è scomparso, nel senso letterale del termine, nel 1998. Di fronte a un suicidio, quello del silenzioso Caffè, come quello di Catricalà, non si possono che esprimere sentimenti di riserbo e di rispetto. Anche per il sicuro prevalere della dimensione personale rispetto al ruolo pubblico.



Ma si può, e forse si deve, anche rendere omaggio a una personalità che ha avuto un ruolo di primo piano, ma che ha dovuto subire anche delusioni e sconfitte. Delusioni, come si può rilevare nelle relazioni come presidente dell’Antitrust, dove sottolineava costantemente la mancanza di una volontà politica per la difesa del mercato e il prevalere degli interessi economici di breve periodo. Sconfitte come quando nel 2014 non riuscì a essere eletto giudice della Corte costituzionale nonostante che il centrodestra lo avesse ufficialmente candidato. Negli ultimi anni Catricalà si era ritirato da ogni incarico pubblico, lasciando anche il Consiglio di Stato, ma il suo nome era timidamente emerso nelle scorse settimane quale possibile ministro tecnico nel Governo di Mario Draghi.



Resta comunque il suo ruolo di rilievo con una presenza all’interno delle istituzioni, senza mai uscire dalla sua tradizionale riservatezza. Con un senso di rispetto verso i ruoli pubblici che si esprimeva con un’eleganza sempre formale, nel suo modo di vestire, così come soprattutto nei suoi interventi ispirati sempre alla chiarezza e al rigore. 

Come si può ancora leggere nella relazione già citata: “L’attuale fase di crisi attraversata dal Paese trova, infatti, le sue cause più profonde non soltanto nella difficile congiuntura internazionale, ma anche in una strutturale carenza di crescita della produttività, dovuta – come noto – a una serie di ritardi strutturali mai affrontati, che hanno condotto a una severa perdita di competitività del nostro sistema economico”. 

Parole che, dopo dieci anni, restano ancora di grande attualità. Perché i ritardi strutturali sono ancora uno dei maggiori problemi che l’Italia si trova ad affrontare per sfruttare al massimo i fondi europei Next Generation Ue, così come il protezionismo corporativo si è ancora più rafforzato con un rinascente statalismo, anche nel centrodestra, che Catricalà aveva sempre criticato.

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