Antonio Ciontoli è stato condannato in via definitiva a 14 anni di reclusione per l’omicidio di Marco Vannini con sentenza emessa in Cassazione nel 2021. Un epilogo arrivato dopo un iter processuale denso di colpi di scena e in cui non è mancata la rabbia dei genitori della vittima, Marina Conte e Valerio Vannini, per la riduzione di pena a 5 anni stabilita in appello con derubricazione del reato da omicidio volontario a colposo. Oggi Antonio Ciontoli è in carcere come il resto della sua famiglia, tutti finiti a processo per la morte del 20enne di Cerveteri ucciso da un colpo di pistola esploso nella notte tra il 17 e il 18 maggio 2015 all’interno della loro villetta di Ladispoli.



In cella Maria Pezzillo, moglie di Antonio Ciontoli, e i due figli della coppia, Federico e Martina Ciontoli, quest’ultima all’epoca fidanzata con Marco Vannini. A loro carico una condanna definitiva a 9 anni e 4 mesi, riconosciuti responsabili di concorso anomalo in omicidio volontario. A contribuire ad aggravare la posizione di Antonio Ciontoli e famiglia, i ripetuti cambi di versione forniti nelle varie fasi dell’inchiesta sulla morte di Marco Vannini, dalla sede di interrogatorio fino alla Corte d’Assise.



Chi è Antonio Ciontoli: le bugie per salvare il posto di lavoro dopo la morte di Marco Vannini

Antonio Ciontoli, nato a Caserta l’11 marzo 1968, al momento della morte di Marco Vannini lavorava come sottufficiale della Marina militare e sarebbe stato distaccato ai Servizi segreti. Un ruolo importante che, dopo il ferimento del fidanzato di sua figlia, avrebbe tentato di preservare mentendo ripetutamente al 118 e omettendo che il ragazzo fosse stato attinto da un colpo di pistola. La sua versione su un presunto incidente domestico – la caduta di Marco Vannini su un “pettine a punta” nella vasca – che a suo dire gli avrebbe provocato un “buchino sul braccio” e un successivo “attacco di panico”, si sarebbe presto infranta contro la reale entità del dramma: Marco Vannini è stato ucciso.



Sposato con Maria Pezzillo, come lui originaria di Caserta e sua coetanea, Antonio Ciontoli ha avuto due figli dal matrimonio: Federico, classe 1992, e Martina Ciontoli, classe 1995. Coetanea di Marco Vannini e sua fidanzata all’epoca dei fatti. Tutti erano presenti nell’abitazione di via Alcide De Gasperi, a Ladispoli, teatro del delitto. E tutti, secondo quanto emerso in sede di giudizio, avrebbero mentito per proteggersi a vicenda in una spirale di bugie e omissioni che avrebbero condotto Marco Vannini alla morte.

Antonio Ciontoli a Storie Maledette: “Ho preso l’arma e…”

In una intervista rilasciata a Franca Leosini per Storie Maledette, fortemente criticata dalla famiglia di Marco Vannini e trasmessa prima della condanna definitiva a suo carico, Antonio Ciontoli ha ribadito una parte della sua versione sulla localizzazione delle armi, due pistole da lui detenute, la notte della tragedia. A suo dire, mentre Marco Vannini era in bagno e si lavava nella vasca in presenza della fidanzata, si sarebbe improvvisamente ricordato di avervi lasciato le pistole all’interno, precisamente in una scarpiera, e per questo non si sarebbe fatto scrupoli ad entrare per prenderle e metterle in sicurezza. Un racconto a cui i genitori del ragazzo si sono sempre opposti: “Marco – ha sottolineato la madre Marina Conte in aula –, non si sarebbe mai fatto vedere nudo da nessuno oltre Martina“.

Quando sono entrato in bagno, Martina è uscita in automatico. Prendo il marsupio (con all’interno le armi, ndr), Marco riconosce questo marsupio, perché ne regalai uno identico a lui, e mi chiede ‘Fammele vedere’, poi come uno stupido mi sono lasciato convincere e ho preso quest’arma (una Beretta calibro 9, l’arma del delitto, ndr) e lui la voleva toccare. Praticamente ho preso l’arma e, convintissimo che fosse scarica, senza proiettili, ho caricato e premuto il grilletto“.

Dal pettine a punta alle urla di Marco Vannini, le bugie di Antonio Ciontoli

Un infortunio in vasca, è caduto e si è bucato un pochino con il pettine, quello a punta, sul braccio, e si è messo panico”. Inizia così la chiamata di Antonio Ciontoli al 118, quasi un’ora dopo lo sparo, alle 00.06 del 18 maggio 2015 dalla sua casa di via Alcide De Gasperi in cui Marco Vannini era in preda a una atroce agonia. La bugia numero uno di Antonio Ciontoli è relativa al presunto incidente domestico che avrebbe visto il 20enne cadere su “un pettine a punta” mentre faceva il bagno nella vasca della loro casa. A suo dire, Marca Vannini era semplicemente “nel panico” dopo quell’episodio descritto ai sanitari come banale. Poi una lunga scia di silenzi e omissioni, su tutte quella per cui Ciontoli non avrebbe parlato subito di un colpo di pistola rallentando così i soccorsi e impedendo che il giovane potesse essere salvato.

A processo, Antonio Ciontoli ha inoltre dichiarato che Marco Vannini non urlava dopo essere stato ferito. Una versione completamente sconfessata dalle registrazioni delle telefonate partite dalla sua casa di Ladispoli la notte dei fatti, in cui la stessa operatrice del 118 chiese conto di quelle disperate grida. Precedentemente, in sede di interrogatorio, Ciontoli aveva invece ammesso che il ragazzo “sì, urlava, chiaramente con un proiettile nel braccio urlava sì”.