Questa sera andrà in onda il film ‘Tutto per mio figlio‘, tratto dalla storia vera del sindacalista – ambulante di professione – Federico Del Prete, freddato con cinque colpi di pistola da Antonio Corvino, ex esponente del clan mafioso dei Casalesi che (diventato informatore e pentito) si è assunto la piena responsabilità dell’omicidio. Una storia che molti ricorderanno dato che è avvenuta solamente nel 2002 e che due anni fa è stata trasposta su pellicola da Umberto Marino che ha scelto per il ruolo di Federico Del Prete Raffaele Acampora, mentre non si da alcuno spazio alla figura e alla persona di Antonio Corvino.



Prima di arrivare al killer reo confesso del sindacalista, vale la pena ricordare il periodo e il contesto in cui si è svolta la vicenda: siamo – infatti – nella Sicilia dei primi anni 2000, con pesanti infiltrazioni mafiose in ogni ambiente politico e sociale. In particolare, Del Prete era diventato un testimone chiave in un processo (che si sarebbe tenuto il giorno dopo il suo omicidio) che vedeva imputato un agente di polizia scoperto a gestire un racket di sacchetti di plastica: non fu, però, Antonio Corvino a sparare contro il sindacalista, ma suo cugino Romolo.



La confessione di Antonio Corvino: perché ha ucciso Federico Del Prete

Compresi i retroscena di un reato diventato, purtroppo, famosissimo, sarà più facile capire perché Antonio Corvino e il cugino Romolo ricevettero dai ‘vertici’ dei clan l’ordine di mettere a tacere per sempre Federico Del Prete, diventato un personaggio particolarmente scomodo per il redditizio racket delle buste. Il sindacalista – come ha ricostruito qualche anno dopo Paolo Miggiano nel suo libro ‘A testa alta‘ citando le dichiarazioni rese agli inquirenti dallo stesso Antonio Corvino – “cominciò a dare fastidio ai casalesi e in particolare ad Antonio Schiavone il quale lavorava presso il comune di Casale”.



Il pentito raccontò che “venne a casa mia Nicola Panaro, fratello di Sebastiano, per sollecitare un intervento” che in un primo momento passò per un tentativo pacifico di farlo “desistere da questa attività rappresentandogli il pericolo a cui era sottoposto”. Ben presto, però, l’intervento pacifico si è tramutato – a causa “del persistere di tale situazione” – in una richiesta esplicita da parte di “Schiavone Vincenzo e Giuseppe Misso” affinché Antonio Corvino e Romolo attuassero quello che il pentito definisce “un intervento risolutivo”. Veniamo così alla notte del 18 febbraio 2002, quando Romolo irruppe in casa di Del Prete e sparò cinque colpi di pistola, mentre Antonio lo aspettava in macchina pronto per la fuga.