Assieme alla terribile foto di Aldo Moro senza vita nella Renault 4 rossa di Via Caetani, l’immagine che ha sicuramente segnato nell’immaginario gli Anni di Piombo in Italia è quella che vedete qui sopra: si tratta di Giuseppe Memeo, immortalato nella foto iconica nel centro di Milano in via De Amicis nella famosa manifestazione sfociata in sangue del 14 maggio 1977. Oggi al Giornale il giudice Guido Salvini (magistrato istruttore nel seconda fase delle indagini per l’omicidio Custra) racconta nel dettaglio l’evoluzione incredibile di quelle indagini durate anni per cercare di scoprire chi effettivamente e materialmente sparò al vicebrigadiere del 3° Reparto Celere della Polizia di Milano, Antonio Custra, ucciso da un colpo di Beretta 7,65 nello scontro a fuoco con alcuni terroristi di Autonomia Operaia.
«Quella di via De Amicis è una storia di fotografi e fotografie. L’identità degli sparatori rimase irrivelata fino a quando, qualche anno dopo la sparatoria, recuperammo il rullino che conteneva la foto decisiva per inchiodare i responsabili dell’assalto», spiega il magistrato Salvini, rivelando però che nella foto iconica dello sparo accovacciato non vi è la risposta a chi materialmente uccise Custra. «La foto di Giuseppe Memeo, accucciato che spara contro la polizia con una calibro 22, è stata iconica del ’77 – spiega al Giornale il magistrato – Tuttavia non è questo lo scatto decisivo della vicenda di Via De Amicis. In realtà l’immagine di Memeo che spara si colloca nel momento successivo alla morte del vicebrigadiere Custra, quando il collettivo Romana Vittoria sta già battendo in ritirata. Dunque non è stato lui a sparare al vicebrigadiere e neanche i tre studenti del Cattaneo che sono stati arrestati nei giorni successivi all’assalto, per quanto ‘complici morali’ dell’omicidio».
LA GIUSTIZIA TARDIVA PER LA VITTIMA CUSTRA
Neanche la successiva fase di arresti consegna alla giustizia i veri responsabili della morte di Custra: Maurizio Azzolini, Massimo Sandrini e Walter Grecchi, (i primi due minorenni) vengono accusati dell’omicidio ma si scoprì solo in un secondo momento (nel 1982) che spararono sì negli scontri con la polizia ma non furono loro ad uccidere Custra. Anni dopo è proprio il giudice Salvini a riaprire il caso dopo aver trovate foto decisive da un fotoreporter vicino ad Autonomia Operaia e gli ambienti sovversivi della sinistra, che non le aveva consegnate in un primo momento alla magistratura. «Decidemmo di perquisire la sua abitazione, ove ritrovammo delle foto molto importanti degli scontri di via De Amicis», spiega Salvini scoprendo poi lo scatto definito che incastrò il colpevole dell’omicidio Custra: nel maggio del 1992 vengono emesse ben 9 condanne per concorso in omicidio e tra loro quasi tutti i facenti parte del gruppo che materialmente sparò contro il settore di Custra. Tra i condannati a vario titolo troviamo: Luca Colombo e Maurizio Gibertini (10 anni e 8 mesi), Giancarlo De Silvestri (10 anni), Raffaele Ventura (7 anni) Pietro Mancini (5 anni) Mario Ferrandi e Giuseppe Memeo (4 anni), Marco Barbone (1 anno e due mesi), e Corrado Alunni, uno dei principali pentiti di Prima Linea. Secondo quanto riportato ancora dal magistrato Salvini, «Tutti i dati processuali indicano in Mario Ferrandi il responsabile del colpo mortale all’agente Custra. Con una Beretta 7,65, Ferrandi avrebbe sparato ad altezza d’uomo contro il cordone di polizia da una distanza di circa 40 metri». Al processo la condanna arriva, ma quasi un decennio dopo i fatti: «Certo è che se queste fotografie fossero saltate fuori prima, se queste indagini fossero state condotte in maniera più incisiva, le persone incriminate per i fatti di via De Amicis non sarebbero entrate nei gruppi armati e probabilmente lo sviluppo della lotta armata milanese, durante gli anni del terrorismo vero e proprio, si sarebbe evitato. Purtroppo è stata fatta giustizia ma tardivamente», conclude al Giornale il giudice che ebbe il merito di riaprire il caso Custra.