In silenzio per tre anni, Antonio Di Pietro torna a parlare. Non a caso, perché la sua nuova vita è quella di contadino. Quindi, l’ex magistrato di Mani pulite ed ex ministro, entra nel merito della protesta degli agricoltori scoppiata in Europa. «Ora faccio l’agricoltore e voglio dire che gli agricoltori che protestano hanno ragione», dichiara infatti al Fatto Quotidiano. «Non si possono imporre regole uguali per tutti, in tutta Europa, per i piccoli e per i grandi». Di Pietro sa di essere fortunato, avendo una buona pensione e quindi la possibilità di fare il coltivatore per passione. «Io ho i campi e il trattore che mi ha lasciato mio padre. Ma chi è meno fortunato di me come fa?».
Quindi, per l’ex magistrato i “colleghi” agricoltori hanno ragione a protestare. «Per i piccoli coltivatori è impossibile fare la rotazione nelle colture, tenere i terreni fermi, rispondere alla concorrenza di chi fa coltivazione intensiva e agli attacchi di chi invade i nostri mercati. Come fai, se sei piccolo, ad ammortizzare il costo delle attrezzature ormai necessarie oggi?». Per Antonio Di Pietro c’è troppa differenza tra il prezzo pagato ai produttori e quello di vendita ai consumatori. «Le regole non possono essere uguali per tutti, sennò i piccoli sono strangolati. E l’Europa deve imporre limiti a chi invade i nostri mercati».
DALLA PROTESTA DEI TRATTORI A MANI PULITE
Antonio Di Pietro ritrova la parola per parlare di agricoltura, ma di giustizia si è rifiutato di parlare finora. «Sono rimasto in silenzio perché vedevo in giro troppi tuttologi. Le stesse persone che parlano dappertutto di ogni cosa. Anche di ciò che non conoscono. La giustizia, poi: io ora ho 74 anni, ho cambiato più volte vita nella mia vita, si era chiuso un ciclo e sono tornato alle origini. Ora voglio fare il contadino», spiega al Fatto Quotidiano. Ma l’ex pm di Mani pulite ha riflettuto molto in questi anni. «Ora guardo la giustizia con occhi diversi. (..) Mi amareggia da morire sentire come viene ormai raccontata Mani pulite».
Per Di Pietro è stata stravolta la storia: «Hanno fatto vincere il revisionismo storico. I colpevoli siamo noi che abbiamo fatto Mani pulite, mentre intanto dedicano strade a Bettino Craxi, “statista”, “esule”: ma quale statista? Latitante, condannato. E Silvio Berlusconi? Esaltato come un grande politico. Ma chi compie crimini è un criminale, e Berlusconi è un criminale». Inoltre, ogni occasione ora è buona per attaccare Mani pulite, ad esempio si ripete la tesi che fu un’operazione politica. «Dicono anche che Mani pulite l’hanno voluta gli americani… Ma fatemi il piacere! Rubavano e confessavano di aver rubato. Noi abbiamo solo fatto il nostro lavoro. Erano delinquenti e li abbiamo scoperti. Ma niente da fare: se oggi un magistrato non fa il suo dovere, si finisce per prendersela con noi. La colpa di tutto è sempre Mani pulite».
“ERO ARRIVATO AD UN PASSO DALLA CUPOLA DEL SISTEMA”
Antonio Di Pietro ha scoperto i rapporti tra politica e affari, ma ad un certo punto è successo qualcosa ed è stato fermato. «È successo quando ho toccato il rapporto mafia-affari. Quando ho interrogato l’imprenditore siciliano Giuseppe Li Pera, che mediava i contatti tra le grandi imprese del Nord e i mafiosi di Cosa nostra». L’ex pm si stava preparando ad arrestare Filippo Salamone, che era al centro del sistema degli appalti. «Io credo che sia stato sottovalutato il rapporto mafia-appalti del Ros-Carabinieri di Mario Mori. Non credo invece che la trattativa Stato-mafia, che c’è stata, sia stata fatta per favorire la Cosa nostra». Di Pietro al Fatto Quotidiano rivendica di essere «arrivato a un passo dalla Cupola del sistema».
A quel punto si è scatenato l’inferno. «Sono stato dossierato, infangato. Ho saputo che il capo della Polizia, Vincenzo Parisi, portava a Craxi i tabulati di tutte le mie telefonate. Poteva finire in due maniere: o una bomba, o la delegittimazione. Mi è andata bene, per me hanno scelto la delegittimazione». L’ex magistrato ritiene di non avere nulla di cui pentirsi. Riguardo l’abolizione dell’abuso di ufficio, Di Pietro non è contrario, ma preoccupato dal motivo per cui il governo Meloni la vuole: «Pretendono un pm non autonomo, ma dipendente dal governo».