Eroi: solo così si possono definire Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo, i tre agenti della scorsa che hanno perso la vita nella strage di Capaci. Ed è così che Matilde Montinaro definisce il fratello poliziotto, che le ha lasciato una difficile eredità da portare avanti. In un’emozonata lettera ad Antonio, riportata da LecceSette, Matilde esprime tutti i sentimenti che la animano dalla sua scomparsa. “Sarà una sorpresa per te ascoltare queste mie righe“, scrive, “scritte in una fresca serata di silenzio in un periodo di emergenza sanitaria, inattesa e drammatica, che ha costretto tutti noi a fermarci, che ha ridotto il nostro spazio di movimento e di azione e ci ha obbligato a vivere uno stile di vita nuovo“. Una vita fatta di ricordi la sua, spesso dolorosi da rispolverare e a volte chiusi nel cassetto per diversi anni. “Credo che siano più belli dei sogni, perchè nei ricordi resistono frammenti di realtà“, continua, “Certo, i ricordi possono essere neri, tristi, ma senza di essi non siamo nulla e a volte possono diventare per noi un regalo da aprire quando desideriamo riempirci di gioia”. Come quel momento in cui da bambini, Matilde e Antonio facevano di alcuni disegni dei trampolini di lancio per affrontare “Belve strane e sconosciute e tu t’imponevi il coraggio di combattere battaglie per liberare il mondo”. Gli stessi mostri che poi hanno avuto un volto, delle mani piene di sangue e che quel giorno di maggio del ’92 Montinaro ha dovuto affrontare davvero.
Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani: il ricordo della polizia
I nomi di Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani non potranno mai essere dimenticati. E il corpo di Polizia di certo non li dimentica, anche grazie alla giornata della memoria che oggi, 23 maggio 2020, ricorda la strage di Capaci avvenuta nel ’92. “Tanto è stato fatto ma ancora molto resta da fare“, scrive la Polizia in una nota riportata da Adnkronos, “È un dovere far vivere ogni giorno quel patrimonio di valori di legalità e giustizia che quei servitori della Stato, pagandolo con il sangue, ci hanno lasciato in eredità. Il loro coraggio e la loro forza d’animo possano fungere da guida per le giovani generazioni”. L’esempio dei tre agenti non morirà mai: periscono le carni, ma non si assopiscono i ricordi e quella missione che hanno lasciato a tutti noi. Quella di combattere la mafia e i suoi dogmi, le sue crudezze e crudeltà. “Antonio, l’altro ieri, aveva un impegno di mattina e mi aveva chiesto di cambiare turno. Adesso non potrà farlo più, perché è morto”, ha detto un poliziotto dell’ufficio scorte il giorno dei funerali. Montinari, originario di Lecce e figlio di un pescatore, ha lasciato all’epoca due bambini piccolissimi: Giovanni ne aveva 4, Tina solo uno e mezzo. Oltre alla moglie, con cui aveva aperto un negozio di detersivi per arrotondare lo stipendio, ricorda La Repubblica. “Mi avevano detto che c’era stato un attentato, ho subito chiamato in centrale e mi hanno risposto che ‘forse hanno fatto saltare in aria la persona che sai tu’. Sono raggelato”, ha raccontato invece Giuseppe, uno degli agenti scampati al massacro perchè era in malattia. “Sono uscito, sono andato sul posto, ho visto quei corpi martoriati, non riuscivo a distinguere chi erano quei corpi dilaniati in quella campagna dove era finita la blindata fatta saltare in aria assieme a quella di Falcone”, ha aggiunto, “Poi sono stati recuperati i documenti ed ho scoperto che quei morti erano Antonio, Vito e Rocco”.