Antonio Vullo: l’unico sopravvissuto in via D’Amelio
Il 19 luglio 1992 un’autobomba esplose nei pressi di via D’Amelio, a Palermo, in quello che sarebbe passato alla storia come il giorno della morte del giudice antimafia Paolo Borsellino. Assieme a lui, ligi al dovere, morirono anche cinque agenti della sua scorta, Claudio Traina, Vincenzo Li Muli, Walter Cosina, Agostino Catalano ed Emanuela Loi. L’unico sopravvissuto di quella triste pagina della storia italiana fu Antonio Vullo, il sesto uomo della scorta del giudice.
Vullo negli anni ha poi contribuito in larga parte alla ricostruzione delle vicende che si sono susseguite in modo molto rapido in quel giorno di luglio. Dalle sue deposizioni, emerge come quella mattina lui si diresse verso l’abitazione privata di Paolo Borsellino, Villagrazia di Carini, assieme a Walter Cosina e Vincenzo Li Muli, venendo raggiunti dagli altri agenti di scorta poco dopo. Attorno alle 16 il giudice informò Traina e Catalano, i capi pattuglia della sua scorta, di volersi recare poco dopo in via D’Amelio, per andare a trovare sua madre e sua sorella, come d’abitudine. Vullo notò che in quell’occasione, mentre il giudice Borsellino gli forniva le informazioni necessarie per raggiungere l’abitazione, teneva in mano un piccolo oggetto simile ad un’agenda, con la copertina scura. Di lì a poco le auto sarebbero partite in una classica staffetta, con in testa la vettura di Vullo, assieme a Li Muli e Traina, al centro la vettura di Borsellino e infine gli altri tre agenti della scorta in una terza macchina.
Antonio Vullo: l’arrivo in via D’Amelio
Giunti in via D’Amelio, Antonio Vullo, stando alle sue dichiarazioni, intuì che c’era qualcosa di strano. Vi erano un gran numero di auto parcheggiate su di una via che da tempo era considerata calda, per l’alto rischio di attentati ai danni del giudice (Vullo apprese solamente in un secondo momento successivo all’esplosione che c’era in programma la chiusura e il divieto di parcheggio sulla via, che tuttavia non arrivò in tempo). Vullo e Traina non fecero in tempo a prendere una decisione che Borsellino li superò con la sua vettura, per parcheggiare in mezzo alla carreggiata.
Dall’auto di Antonio Vullo scesero Traina e Li Muli, che avevano il compito di assicurarsi che l’area fosse pulita e sicura, mentre Vullo si posizionò alla fine della via, per impedire l’accesso ad altre auto. Il magistrato parcheggiò e raggiunse Traina che nel frattempo era già davanti all’abitazione. Vullo uscì dalla sua auto, notando che tutto era tranquillo e vedendo il collega Cusina in piedi vicino all’altra auto di scorta, intento ad accendersi una sigaretta. Vullo avrebbe, dunque, deciso di girare la sua auto, tenendola pronta a ripartire e vide Borsellino davanti al portone pronto a citofonare, un secondo rapido sguardo a Cusina, e poi tutto degenerò in maniera incredibilmente rapida. Il resto della ricostruzione si deve al processo nel quale Antonio Vullo fu chiamato a deporre per capire quanto fosse realmente successo in quel fatidico 19 luglio 1992.
Antonio Vullo: “sono stato investito da una nube calda, poi ho visto il corpo di un collega”
La deposizione di Antonio Vullo aiuta a comprendere gli attimi immediatamente successivi all’esplosione dell’autobomba che uccise Paolo Borsellino assieme agli altri cinque agenti della sua scorta. “Sono stato investito io da una nube abbastanza calda, all’interno dell’abitacolo sono stato sballottato”, racconta al PM, “sono uscito dal veicolo ed era tutto distrutto, già avevo visto il corpo di un collega (Cusina), che era accanto alla mia macchina”.
A quel punto Antonio Vullo, in preda alla confusione, si sarebbe “messo a girare così, senza nessuna meta, cercando aiuto o dando aiuto agli altri colleghi”. Nei pochi minuti che è rimasto sulla scena dell’esplosione non avrebbe, però, visto nessuno estraneo. Si sarebbe diretto prima verso il giardino alla fine di via D’Amelio, “ho visto tutto distrutto, non ho visto nessuno che potesse aiutarci e dall’altra parte (..) ho visto il primo collega, la prima volante”. Dirigendosi verso l’auto che stava arrivando avrebbe, inoltre, notato “alcuni brandelli dei colleghi”. A quel punto il PM che seguiva il caso, chiese se Vullo avesse notato qualcosa tra le mani di Borsellino, “come una borsa, agende o altre oggetti di una certa dimensione”, ma il teste risposte di no. In seguito, sia Antonio Vullo che i colleghi che avevano dato la vita per difendere il giudice, furono insigniti dallo stato con la Medaglia d’Oro al valore civile, mentre Vullo sarebbe stato chiamato a deporre nuovamente in occasione del processo Borsellino ter.
Il processo Borsellino ter: Maurizio Avola “confessa” di essere uno degli esecutori
In seguito alla giornata del 19 luglio 1992, in merito alla morte del giudice Borsellino, il boss pentito Maurizio Avola diede la sua ricostruzione dei fatti che avrebbero portato all’esplosione dell’auto. Avola si disse “uno degli esecutori materiali della strade in via D’Amelio”, nonché “l’ultima persona che ha visto lo sguardo di Paolo Borsellino, prima di dare il segnale per l’esplosione”. “Borsellino scende dalla macchina e lascia lo sportello aperto”, racconta Avola, “io mi fermo, mi giro e lo guardo, mi accendo una sigaretta, lo guardo, mi giro e faccio il segnale, verso il furgone a Giuseppe Graviano”. Tuttavia, Avola ebbe la sensazione che Emanuela Loi avesse “visto il led rosso dell’auto, lei alza il passo e non capisco se sta andando verso la macchina”.
Avola si allontana velocemente, in “12 secondi”, e racconta che se l’auto non fosse esplosa, allora “avrebbero attaccato con i bazooka”. Ma la ricostruzione non fu confermata da Antonio Vullo, che invece ricorda bene che lo sportello dell’auto di Borsellino fosse chiuso, “anche perché se fosse stato aperto si sarebbe distrutto tutto quello che c’era all’interno dell’automobile, compresa la valigetta, che poi, invece, è stata trovata integra”, spiega ad Adnkronos. Per Vullo, inoltre, era strano che l’auto non esplose subito, perché “c’è stato un lungo momento dopo che il giudice ha suonato il citofono” nel quale “erano tutti lì, bersagli perfetti” vicini alla 126 che sarebbe esplosa poco dopo. “Lo sono stati per più di un minuto, ma non è successo nulla”, aggiunge Vullo, ipotizzando che “qualcosa li ha ostacolati”. Se lo chiede da allora, “come mai non l’hanno fatto esplodere in quel momento?”. Inoltre, l’agente sopravvissuto ricorda chiaramente che delle 3 o 4 persone presenti sulla scena secondo i racconti di Avola, non c’era realmente nessuno o “li avremmo notati”.