Le case di riposo sono state, come noto, tra i luoghi più investiti dal Covid, almeno nella prima fase. Un’autentica strage di anziani, soprattutto nella bergamasca. Ma in altre zone è successo, per motivi al momento scientificamente inspiegabili, tutto l’opposto, ad esempio nelle province di Como e Varese, risparmiate nella prima ondata e poi colpite a fondo nella seconda. Ce lo racconta in questa intervista Paolo Agnesi, Direttore generale Case di Riposo Riunite di Bregnano e Lomazzo, in provincia di Como: “Sia noi che la provincia di Varese siamo stati investiti da uno tsunami a partire da settembre, mentre eravamo stati risparmiati nella prima fase. Motivi dovuti, a mio avviso, alla circolazione di persone asintomatiche che non sapevano di trasmettere il contagio. Per quanto si faccia per adottare misure di sicurezza è purtroppo inevitabile che questo virus si diffonda”. E aggiunge, “anche un solo decesso è cosa dolorosa e triste, tanti o pochi non conta”.



Cosa ha voluto dire e cosa vuol dire ancora oggi dirigere una casa di riposo, un luogo dove soprattutto nella prima fase si è verificato un numero molto elevato di decessi?

La distribuzione casuale dell’epidemia nelle diverse province, se all’inizio ha risparmiato Varese e Como, le ha colpite nella seconda. Da questa diversa distribuzione anche le case di riposo sono rimaste colpite in termini percentuali differenti.



Avete avuto molti decessi?

Anche un solo decesso è cosa dolorosa e triste, tanti o pochi non conta. Alcuni decessi purtroppo ci sono stati: una volta che il virus entra, è difficile cacciarlo fuori.

Come si spiegano i contagi nonostante le misure di sicurezza?

L’impressione che mi sono fatto è che questa seconda ondata sia nata dal gran numero di soggetti asintomatici che hanno portato in giro il virus senza sapere di averlo. Quindi, dalla casalinga che fa la spesa all’impiegato che va in ufficio fino anche all’operatore della Rsa, diventa inevitabile che la trasmissione possa accadere in un qualche momento di distrazione. In realtà, le misure e i protocolli evitano la diffusione, ma non si riesce a coprire al cento per cento l’attenzione del tempo che ciascuno vive nella giornata.



Attualmente le visite dei familiari sono a distanza?

Le facciamo in forma telematica. Abbiamo interrotto le visite in presenza quando ci è stato chiesto da Regione Lombardia, dalla fine di settembre. Abbiamo sempre cercato, finita la prima fase a giugno fino a fine settembre, di fare visite in presenza, non attraverso vetrate o sistemi strani, ma con distanziamento o all’aperto.

In che modo?

Facilitando non il contatto fisico, ma la possibilità di guardarsi in faccia e di riuscire a parlarsi, senza un vetro in mezzo, che rende tutto più faticoso. So di posti dove si comunica con i telefoni attraverso il vetro, come in carcere. Noi questi mezzi li abbiamo evitati.

L’aspetto psicologico è tra le cose più importanti per una struttura come la vostra. Evitare la sofferenza della solitudine è il vostro impegno principale?

Sì, non abbiamo mai smesso di fare incontri o con video chiamate o su Skype o con whatsapp. Vorrei però dire una cosa.

Prego.

Si sente parlare, secondo me, fuori luogo della solitudine degli anziani, ma le assicuro che l’esigenza della visita, del contatto, è avvertita più dai familiari che dagli ospiti.

Cioè?

Dentro le nostre strutture si sono formate delle comunità, chi ci abita vive una compagnia, quella di coloro che sono lì con lui. Non è che non sentono l’esigenza di vedere figli e nipoti, è ovvio, ma la solitudine di cui molti parlano da noi è meno sentita. In alcuni casi tanti che erano amici fra di loro e che erano soliti incontrarsi nel salone lamentano di non poter più vedere i loro amici più che i familiari. Ci sono stati ospiti che hanno chiesto di contattare in videochiamata il loro amico che sta al piano di sopra e che magari non vedono da settimane.

Dal punto di vista delle normative, che in questi mesi si sono susseguite numerose, avete affrontato qualche problema particolare?

E’ stato difficoltoso nella prima fase, quando effettivamente non si sapeva bene con che cosa si aveva a che fare, si andava un po’ per tentativi. Nella seconda ondata mi sembra che a livello di decreti, norme o indicazioni, e ne sono arrivate tante, il focus fosse un po’ più lineare rispetto a prima. Già da soli nella prima fase avevamo svolto un grosso lavoro di adattamento alla situazione, per cui nella seconda ondata si è trattato solo di puntualizzare alcuni aspetti.

Avete già fatto la vaccinazione?

Siamo in attesa che ci venga comunicata la data in cui verranno consegnate le dosi vaccinali sia per gli operatori che per gli ospiti. Se non sarà la settimana prossima, sarà quella successiva, c’è un iter in base a criteri che non conosco che mette in fila le varie Rsa di ciascun territorio.

(Paolo Vites)

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