“In un paese in cui l’eutanasia è vietata, agli anziani non resta che l’omicidio-suicidio”. Titola in questo modo Dagospia il resoconto della triste notizia di cronaca nera che arriva da Molassana, un quartiere di Genova dove un uomo di ottantaquattro anni ha ucciso la moglie di ottanta per poi suicidarsi lasciando un biglietto emblematico: “Soffro tanto, ti amo ma non ce la faccio”.



L’episodio sarebbe il quarto da dicembre in Liguria: ultraottantenni che si ammazzano brutalmente tra loro, insoddisfatti e inappagati della loro esistenza.

Italo Svevo cercò di far fortuna, all’inizio del novecento, con un romanzo – Senilità – in cui la vecchiaia diventava un “sentir grigio e un vedere grigio” alimentato dalle strutture e dalle sovrastrutture sociali del tempo. Il grigiore della vecchiaia coincide con la nitida percezione di essere improduttivi e inadatti ad abitare questo mondo: è come se la cultura prevalente dicesse a noi tutti che se non produci non vali, se non vali non servi e se non servi è meglio che muori.



Che cos’è dunque, in questa concezione, un uomo anziano? Uno scarto, un prodotto di risulta psicologicamente schiacciato da modelli giovani e funzionali impossibili da realizzare. Com’è lontana la concezione di anziano come custode dell’esperienza, consolatore profondo delle tante ferite del cuore, presenza insostituibile se si vuole buttare lo sguardo oltre la contingenza e raccordare il momento presente all’eternità.

È questa dunque la crisi di senso in cui versano in tanti: aver perso la correlazione tra il particolare e il tutto, una connessione necessaria per vivere e per rileggere la propria storia dentro ad un disegno dove ogni pezzo ha avuto senso, forza e prospettiva. Sono sempre di più gli anziani che si sono smarriti, che hanno dimenticato che il loro compito è quello di essere la memoria del mondo, il luogo dove la vita si guarda e riflette, dove non è più necessario riuscire, ma basta semplicemente esserci. La solitudine in cui questi uomini e queste donne sono lasciati a loro stessi coltiva un desiderio di morte che, in fondo, è il grido di un uomo che chiede ancora – anche per l’ultima volta – di essere amato.