Il Governo ha scelto l’App di Stato per tracciare il virus. Giovedì sera il commissario straordinario per l’emergenza Covid-19 Arcuri ha disposto la stipula del contratto di concessione gratuita della licenza d’uso del software per il tracciamento dei contatti progettato da Bending Spoons software house milanese in collaborazione con il centro medico Sant’Agostino.



L’App si chiama Immuni, ma al momento della sua operatività prevista per maggio potrebbe essere ribattezzata; com’è sperabile, per non essere scambiata per pubblicità ingannevole. Rimangono ancora dei punti da chiarire sulle specifiche tecniche di funzionamento del servizio che comunque è rispettoso dell’anonimato dei dati personali, è su base volontaria e promette di essere open source, anche se la formulazione un po’ contorta del testo dell’ordinanza lascia perplessi diversi giuristi sulla reale accessibilità pubblica del codice sorgente.



L’App, ora al vaglio della task force fase 2 guidata da Vittorio Colao, rappresenta un passo importante nello sviluppo di tecnologie per una strategia sostenibile post-emergenza e di ritorno alla normalità. Il Governo attesta che la tracciatura dei contatti è una delle azioni di sanità pubblica utilizzate per la prevenzione e il contenimento delle malattie infettive. Il nemico è il virus, e come nella classica strategia militare bisogna capire dove colpisce, predire dove si muove, decifrare come si sposta, per inseguirlo, anticiparlo, bloccarlo, annientarlo. Quindi bisogna raccogliere dati, dati e ancora dati; drenare quel flusso di briciole digitali sul territorio, captare i “segnali deboli”, e farli convergere in data base pubblici centralizzati accessibili ai responsabili sanitari di modo da poter ricostruire il grafo del contagio, disegnare la mappa dei focolai e aiutare chiusure selettive al primo accenno di ripresa dell’infezione. Ricostruire manualmente i contatti per ridurre i contagi è un’operazione lunga e complessa che richiede mediamente 12 ore di tre risorse.



Quando sarà scaricabile, l’App ufficiale di contact tracing dirà al suo possessore di smartphone se è stato in prossimità di un positivo. Tecnologicamente la proposta di Bending Spoons è conforme alle linee guida europee che impongono alle app nazionali il rispetto della privacy , e si basa come altri software di tracciamento anonimizzato, su Bluetooth. Il telefono nella borsa di Alice riconosce quello in tasca di Bruno quando entrano in contatto a una certa distanza e per una determinata durata. Il telefono di ciascuno conserva tutti i codici dei dispositivi intercettati degli ultimi 14 giorni. Nel momento in cui Alice viene diagnosticata positiva riceve dal medico un codice mediante il quale Alice carica in maniera protetta su un server in cloud, gli identificativi raccolti dal suo cellulare. A questo punto il sistema calcola su indicazione del personale medico, per ogni identificativo con cui il cellulare di Alice è entrato in contatto, il rischio esposizione. Se Bruno rientra nei parametri fissati, riceve un avviso di quarantena. Ovviamente sarà il senso di responsabilità di Bruno a decidere il da farsi; e anche se notificare al proprio medico il rischio di esposizione corso. Così come se, a sua volta, avvisare tramite l’app, tutti i suoi contatti. Il Covid-19 è un virus tanto più subdolo quanto il picco di contagiosità si riscontra prima della comparsa dei sintomi.

Quindi effettivamente l’app prescelta tra 319 proposte risponde alla funzione di avvisare il cittadino che è stato esposto al rischio contagio senza dire da chi e dove. Tuttavia, al di là delle obiezioni tecniche sollevate, ci si domanda se fermandosi ai contatti di primo livello (in quanto i dati sono frammentati nei cellulari di ognuno) la tecnologia di Bending Spoons dia un effettivo supporto di informazioni agli epidemiologi per intercettare la catena di trasmissione, delineare la sua distribuzione, modellizzare la sua propagazione.

Un aspetto importante è la tempestività degli esami: se Alice contagia Bruno, ma Bruno non viene allertato prima che a sua volta contagi Carlo, intervenire su Bruno può non essere sufficiente. La sorveglianza sanitaria di una comunità, come ci ricorda Giovanni Rezza, direttore del Centro Malattie Infettive dell’Istituto Superiore di Sanità e membro della task force governativa Covid-19, si fa con personale preparato che va sul territorio per campagne di tamponi. Metodi purtroppo lunghi, dispendiosi di risorse, ma senza i quali si rischia di cadere nell’utopia della digitalizzazione come salvacondotto di immunità.

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