Undici temi strategici sottoscritti da tutte le associazioni di categoria economiche della Lombardia, riunite a Bruxelles nel “Tavolo permanente per la competitività dell’impresa lombarda”. Lo ha fatto mercoledì scorso l’assessore allo Sviluppo economico della giunta Fontana, Guido Guidesi (Lega), per avvisare le istituzioni europee che occorre cambiare rotta. A Palazzo Lombardia sanno bene che siamo in campagna elettorale, che Ursula von der Leyen insegue il bis, ma che la sua candidatura non è forte come prima e che potrebbe non esserci più lei al vertice della prossima Commissione. Proprio per questo è necessaria una azione di lobbying – proprio così la chiamano i vertici regionali – per voltare pagina, “se l’Europa vuole sopravvivere”, spiega Guidesi al Sussidiario.



Le associazioni hanno sottoscritto un appello fatti di undici voci, undici “nervi scoperti” di interesse strategico sui quali chiedono, per voce della prima regione industriale d’Europa, la Lombardia, una netta discontinuità rispetto alle politiche ideologiche e depressive della legislatura europea uscente. Perché il tandem Timmermans-von der Leyen non c’è più, ma le scelte sono tuttora in vigore.



Assessore Guidesi, prima l’appello delle associazioni, poi il tavolo a Bruxelles. Ci aiuti a capire cosa state facendo.

È il posizionamento della prima regione manifatturiera d’Europa, la Lombardia, rispetto ad una serie di proposte che sono emerse in modo condiviso nel mondo produttivo lombardo e al quale come Regione offriamo una voce unica.

Questa Commissione europea è a fine mandato, i giochi sono fatti, a Bruxelles sono assorbiti solo dalla politica estera.

Ma noi guardiamo alla prossima Commissione. Attraverso il lavoro di Mario Draghi, a Bruxelles intendono stilare un programma sulla competitività europea. Benissimo. Ma l’Europa avrà una competitività solo se ci saranno ancora i produttori, questo è bene dirselo.



Il vostro obiettivo?

Intendiamo interloquire direttamente con la prossima Commissione europea. Non da soli, ma in collaborazione con le altre regioni manifatturiere europee. Stiamo cercando di trasformare le collaborazioni istituzionali che già esistono tra i territori che fanno il Pil europeo in collaborazioni strategiche ed economiche. Abbiamo iniziato a farlo con l’Alleanza delle regioni europee dell’automotive (ARA, nata a Lipsia nel 2022; nda), abbiamo assunto la presidenza dell’European Chemical Regions Network (ECRN).

È un metodo estendibile?

Certo. Per quanto mi riguarda, tutti gli ambiti possono essere assecondati da questa metodologia di lobbying prima istituzionale e poi economica.

Cos’è che non funziona?

Vorremmo evitare che la prossima Commissione europea facesse gli errori commessi da quella uscente a causa di un approccio ideologico, dunque una metodologia a ragionevolezza zero, e una mancata conoscenza e confronto con i territori europei.

Un esempio?

L’automotive su tutti. Un’ideologia senza confronto con le filiere produttive ha portato ad un clamoroso assist economico alla Cina.

Volete invertire la transizione green, tornare indietro?

No, affatto. Gli obiettivi li condividiamo, ma vogliamo essere protagonisti. Il problema sta nel metodo. Un esempio su tutti: la privazione della neutralità tecnologica per raggiungere quegli obiettivi è un danno che provoca la chiusura di intere filiere produttive.

Lei dice: facciamo fronte comune per influenzare le scelte della prossima Commissione. Non c’è più probabilità di successo facendolo attraverso i Governi?

La risposta è: istituzionalmente sì, però non mi sembra che finora abbia funzionato. Ci siamo trovati un commissario all’Ambiente (Timmermans, nda) che pensava che tutta l’Europa fosse come il giardino di casa sua, in Olanda. E ha delegittimato e limitato anche provvedimenti assolutamente condivisibili, come quelli che sono venuti dal commissario Breton.

E così si arriva alla vostra iniziativa.

Esatto. Poiché quelle linee di indirizzo e certe decisioni conseguenti hanno portato a gravi errori, ci siamo proposti di attivare un confronto diretto con le regioni che contribuiscono di più al Pil Europeo: Lombardia, Catalogna, Baden-Württemberg. Con realismo e pragmatismo, e senza eludere gli obiettivi dal punto di vista ambientale.

Le altre regioni europee vostre alleate sono più competitive sotto il profilo istituzionale?

Sì, e non solo dal punto di vista istituzionale. Noi collaboriamo e concorriamo all’interno del mercato europeo con territori che  rispetto a noi godono di maggiori competenze decisionali, e anche di maggiori risorse, grazie al fatto che trattengono una parte del gettito fiscale sui territori. Siamo la prima regione manifatturiera dell’Ue, anche se partiamo da blocchi di partenza più arretrati rispetto a quelli degli altri.

Che cosa servirebbe per spostarli in avanti?

L’autonomia regionale. Sarebbe fondamentale per far sì che la Lombardia continui ad essere la locomotiva del Paese. L’autonomia non è un tema ideologico-culturale, ma innanzitutto economico. Ovviamente non sarebbe una prerogativa nostra, perché anche le altre regioni italiane potrebbero richiederla.

Il Governo cosa dovrebbe fare?

Auspichiamo che la riforma, che finalmente è ripartita, possa arrivare in fondo.

La vostra iniziativa politica è rilevante, forse ingombrante, e potrebbe essere accusata di protagonismo. Sicuro che qualcuno nel Governo non sia contrario?

Francamente non lo so. Noi abbiamo assunto un’iniziativa di “sindacalizzazione” nel territorio lombardo finalizzata al suo posizionamento economico nel contesto europeo. E lo abbiamo fatto con una voce univoca. Tutte le associazioni di categoria hanno partecipato e condiviso la strategia. Nel 2023 il Pil lombardo è cresciuto del 5,5%, l’interscambio ha quasi toccato i 350 mld di euro (+21%), ospitiamo il 60% degli investitori stranieri in Italia. Mi parrebbe strano che non potessimo rappresentare ciò che siamo. Sono i nostri numeri a legittimare un confronto diretto con la Commissione.

Cosa pensa di un’istituzione già esistente in Europa come il Comitato delle Regioni?

Dal Comitato delle Regioni è partita l’alleanza sull’automotive. È un organo importante, dovrebbe essere molto più ascoltato, come va ascoltato chiunque rappresenta una peculiarità specifica. Parrebbe scontato, ma la Commissione uscente non lo ha fatto e ha tirato dritto. Però capisco che cosa intende e le tolgo ogni dubbio: protagonisti sì, ma nel pieno rispetto della nostra e delle altrui prerogative statali.

I danni della “Commissione Timmermans” sono reversibili, secondo lei?

Lo saranno se si consentirà la piena libertà d’azione e la piena neutralità tecnologica rispetto agli obiettivi prefissati. Vuol dire lasciare libera la ricerca, l’innovazione tecnologica, l’ingegno dei nostri imprenditori, la capacità dei loro laboratori. Poi serve un sostegno europeo alle aziende dei territori produttivi.

Cosa intende per sostegno europeo?

Non si sostengono le imprese facendo una politica monetaria che rende inaccessibile il credito e la liquidità necessaria agli investimenti. Non si pongono obiettivi senza aiutare gli investimenti necessari a raggiungerli…

Lei sta parlando di sussidi, immagino. Sussidi europei.

Io parlo di scelte lungimiranti. L’attuale politica monetaria della BCE procrastina gli investimenti a causa dei costi di accesso alla liquidità. Se l’Europa avesse ripristinato il fondo di garanzia per l’accesso al credito a livello europeo da parte di tutte le aziende, esattamente come ha fatto durante la pandemia, oggi parleremmo di una situazione economica più positiva a livello continentale.

E deve essere l’Europa a muoversi, non gli Stati?

Sì, perché le risorse non possono essere stanziate dagli Stati in base ai bilanci che hanno. Vorrebbe dire consentire ad alcuni Paesi di sostenere gli investimenti e ad altri di non poterlo fare. Se l’Ue fissa degli obiettivi, o mette a disposizione gli strumenti a sostegno degli investimenti necessari per raggiungerli, oppure meglio ripensarli.

(Federico Ferraù)

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