Quaranta parlamentari italiani di tutti i partiti firmano un appello per la liberazione di 23 detenuti armeni che sono nelle carceri azere. L’occasione per avanzare la richiesta alle autorità di Baku è la COP29, la conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, che si svolgerà in Azerbaijan dall’11 al 22 novembre. Il documento, in realtà, è indirizzato al Governo Meloni perché faccia tesoro dei buoni rapporti maturati tra l’Italia e gli azeri, anche in virtù delle relazioni commerciali in campo energetico (l’Azerbaijan è uno dei nostri più importanti fornitori di gas), affinché venga disposta la scarcerazione dei reclusi, alcuni dei quali finiti dietro le sbarre in occasione dell’occupazione del Nagorno Karabakh.
Sullo sfondo, però, c’è anche l’auspicio che Armenia e Azerbaijan firmino un accordo di pace che sancisca i confini dei due Paesi, mettendo fine alle controversie che hanno deteriorato i rapporti fra loro in questi anni. Yerevan, tra l’altro, spiega Tsovinar ., ambasciatrice dell’Armenia in Italia, sta lavorando per allacciare i rapporti anche con la Turchia, per aprire un confine che dalla sua indipendenza fino a oggi (33 anni) era sempre rimasto chiuso.
Da dove nasce l’appello bipartisan dei parlamentari italiani e chi sono gli azeri detenuti in Azerbaijan?
Una parte di queste persone rappresenta la leadership politica del Nagorno Karabakh, catturata durante l’esodo. Altri, invece, erano già detenuti in precedenza nelle carceri azere. Sono persone che si trovano nelle carceri dell’Azerbaijan con accuse fittizie. Complessivamente l’appello riguarda 23 persone. Speriamo che vengano liberate in occasione di COP29, sarebbe un segnale positivo per le relazioni tra i due Paesi. L’iniziativa è del gruppo parlamentare bilaterale Amicizia Italia-Armenia, che ha come presidente l’onorevole Giulio Centemero. Sono rimasta sorpresa che così tanti parlamentari di tutti i partiti abbiano aderito, lasciando da parte le controversie politiche, per sostenere unanimemente la causa dei diritti umani.
L’appello riguarda anche il possibile accordo tra Armenia e Azerbaijan che da tempo stanno trattando per definire i loro confini. A che punto è il negoziato?
Non siamo mai stati vicini a un accordo di pace come siamo oggi, possiamo dire che il trattato è quasi pronto. La nostra leadership politica, il primo ministro e gli altri componenti del governo, hanno dichiarato che l’Armenia non può deviare dall’agenda di pace. Speriamo che la regione alla fine si pacifichi. COP29 può essere un’occasione positiva anche per raggiungere questo scopo.
Cosa si conosce dell’accordo?
La cosa più importante è che nelle parti concordate del trattato di pace c’è già un riferimento alla dichiarazione di Alma-Ata del 1978, che prevede sicuramente il riconoscimento reciproco dell’integrità territoriale basato sulla dichiarazione di Almaty, in Kazakistan, del 1991, nella quale sono stati riconosciuti come frontiere dei nuovi Stati i confini amministrativi dell’Unione Sovietica.
Si è a lungo dibattuto sulla presenza di alcuni villaggi di frontiera popolati da armeni in Azerbaijan e da azeri in Armenia. Anche questa questione è in via di risoluzione?
C’è una commissione, in parte armena e in parte azera, che si occupa della delimitazione e demarcazione dei confini. Già è stato fatto un primo passo, delimitando una parte delle frontiere. È stato firmato un regolamento tra le parti che farà da base per definire i confini. Adesso stiamo lavorando sulla ratificazione del documento. La commissione si sta occupando di tutte le frontiere che devono essere delimitate (sulla mappa) e demarcate (sul terreno). È guidata dal vice primo ministro dell’Armenia Mher Grigoryan e dal vice primo ministro azero Shaihn Mustafayev. Tra le parti c’è un clima positivo, le trattative procedono.
L’intesa è davvero vicina?
L’Armenia è pronta a firmare l’accordo anche domani. Speriamo che la COP aiuti le parti a concludere le trattative e ad arrivare alla firma.
In questi ultimi tempi c’è stato un avvicinamento dell’Armenia agli USA e all’Occidente; i rapporti con la Russia, invece, come vanno?
Il nostro avvicinamento all’Unione Europea e all’America riguarda l’adozione dei valori occidentali: sviluppare una vera democrazia, il rispetto dei diritti umani, lo stato di diritto, la lotta contro la corruzione. Poi i nostri confini vengono osservati da EUMA, una missione civile (della UE) non esecutiva e non armata della Common Security and Defence Policy (PSDC). EUMA osserverà e riferirà sulla situazione della sicurezza lungo il lato armeno del confine internazionale con l’Azerbaijan. Ma questo non vuol dire che non dobbiamo intrattenere buoni rapporti con altri Paesi come la Russia, con la quale abbiamo un’amicizia secolare e stretti rapporti economici.
L’Armenia, quindi, è fiduciosa riguardo alla pacificazione dell’area?
Lo speriamo tanto e facciamo di tutto per raggiungere una pace definitiva. Abbiamo sofferto tanto. Abbiamo rapporti amichevoli anche con l’Iran e con la Turchia ci sono negoziati in corso per aprire il confine tra i due Paesi e per instaurare dei rapporti diplomatici.
Quest’ultimo accordo storicamente avrebbe un grandissimo significato.
Sì. In 33 anni di indipendenza dell’Armenia questo confine è sempre stato chiuso. Il nostro Paese in questo periodo non ha mai cambiato posizione, è sempre stato favorevole alla riapertura della frontiera: non ha mai messo, ad esempio, come precondizione il riconoscimento del genocidio degli armeni.
(Paolo Rossetti)
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.