La parola d’ordine rispetto al documento originale è flessibilità. L’obiettivo dell’Unione Europea nella cosiddetta direttiva case green, la Energy Performance of Building Directive, resta, però, quello di avere emissioni zero nel 2050. Il percorso attraverso il quale arrivarci è meno rigido rispetto a quello che era stato paventato inizialmente. Sì, perché mentre prima si prospettava un innalzamento delle classi energetiche per ogni singolo edificio, ora i piani 2020-2050 che ogni Paese dovrà approntare devono ragionare su medie di consumo, con riduzioni complessive delle emissioni del 16% entro il 2030 e del 20-22% entro il 2035.
Molto è cambiato rispetto al testo iniziale, spiega Giorgio Spaziani Testa, presidente di Confedilizia. Il traguardo delle emissioni zero entro il 2050, però, resta ancora troppo ambizioso, difficile da ottenere, tanto che si spera già in una correzione da parte del nuovo Parlamento europeo. E poi c’è il tema dei finanziamenti: gli interventi preventivati sono comunque molto costosi, ma non si capisce ancora bene dove andranno reperite le risorse a livello nazionale ed europeo per sostenere lo sforzo che si chiede ai proprietari. La direttiva prevede anche che entro il 2040 le caldaie non dovranno più essere a combustibili fossili, come il gas metano. I nuovi edifici dovranno essere costruiti a emissioni zero dal 2028 se pubblici, dal 2030 se privati.
La direttiva è passata all’Europarlamento con 370 voti favorevoli, 199 contrari e 46 astenuti. Hanno votato contro FdI, Lega e FI e a favore Pd, 5 Stelle, Avs e Iv. Segno che nonostante sia stata concertata con i governi (anche quello italiano ha contribuito alle modifiche), non convince ancora tutti. Manca ancora il passaggio, formale, dal Consiglio.
Presidente, considerate sufficienti le modifiche che sono state introdotte nella direttiva sulle case green? O ci sono altri aspetti da cambiare?
Siamo soddisfatti dei cambiamenti che erano stati introdotti già a ottobre e a dicembre. Rispetto al testo iniziale, dal nostro punto di vista si è ottenuto moltissimo, perché si è eliminato del tutto il testo dell’articolo 9 che prevedeva una serie di obblighi diretti di intervento sugli immobili, con scadenze precise e, ad avviso di molti, non realistiche. Per noi, ma anche per un’associazione non sospettabile di antieuropeismo come l’ABI (Associazione Bancaria Italiana), quell’impostazione avrebbe creato un problema immediato sul patrimonio immobiliare, che sarebbe stato deprezzato. Dire che certi immobili diventano “fuorilegge” a partire da una certa data significa far perdere subito valore all’edificio. Se avessi scritto io il provvedimento, avrei fatto diversamente, ma indubbiamente è molto migliorato.
Cosa non convince ancora del tutto?
L’obiettivo emissioni zero nel 2050 per il patrimonio esistente, almeno per quanto riguarda l’Italia, non è realistico. Confidiamo che il prossimo Parlamento europeo possa tornare su questo testo, prima del recepimento da parte degli Stati. Il 2050 sembra lontano, ma in realtà non lo è; non è così facile mettere in atto tutti gli interventi sugli immobili che possono portare a raggiungere l’obiettivo fissato. Però dobbiamo fare una distinzione: l’intervento più immediato era quello relativo all’obbligo stringente di efficientamento energetico ipotizzato inizialmente con scadenze a breve. Su questo secondo aspetto, invece, l’obiettivo finale del 2050, c’è più tempo per tornarci. E comunque, anche se la direttiva dovesse rimanere così, il governo avrebbe molta più libertà di intervento, avrebbe la possibilità di selezionare le priorità.
Ci sono ancora, tuttavia, degli obiettivi da raggiungere, il primo dei quali è la riduzione del 16% delle emissioni entro il 2030 e del 22% entro il 2035. Come vanno applicati?
Non si interviene più su ogni singolo edificio, ma sono gli Stati che decidono cosa fare per raggiungere quella quota complessivamente. Potrebbero dire che per raggiungere il primo step si dovrà intervenire solo sugli edifici pubblici, oppure anche su una quota di privati, prevedendo fortissimi sostegni economici. Prima i singoli edifici dovevano essere adeguati a una specifica classe energetica secondo rigide scadenze.
Rispetto a prima, lo Stato potrebbe dirmi che fino al 2030 non devo fare niente, ma comunque ogni singola casa entro il 2050 dovrà essere a emissioni zero. È così?
In teoria sì, ed è quello il punto sul quale chiediamo di riflettere. Il 2050 è ancora troppo ravvicinato per la mole di lavoro necessaria a raggiungere l’obiettivo prefissato.
Un’operazione del genere è impossibile senza incentivi adeguati ai proprietari: saranno definiti sia a livello nazionale che a livello europeo?
Dovrebbe essere così, ma non si sa assolutamente dove saranno rintracciate le risorse. C’è un invito a tutti i Paesi a farlo, anche se sappiamo l’Italia in che situazione è. È molto difficile capire che cosa si potrà fare. Poi ricordiamoci che superbonus e post superbonus ci insegnano che c’è un problema di condomini, di tipologia di proprietà in Italia. Si parla, ad esempio, di aiuti ai meno abbienti, ma quando si tratta di una proprietà condominiale, abitata da persone con diversi redditi, nella quale però la decisione sull’intervento deve essere presa da tutti, non è semplice capire come metterli in pratica. Occorre tenere conto delle particolarità dell’Italia, che si distingue dagli altri Paesi anche per la presenza di edifici storici. Questa direttiva per alcune nazioni del Nord non è così pesante, perché in molti casi gli obiettivi sono stati già raggiunti, anche per le condizioni climatiche e per quelle strutturali degli immobili. Situazioni distanti luce da noi.
Alla fine sarà il singolo Stato che dirà ai cittadini entro quali scadenze agire per sistemare l’immobile o gli immobili di loro proprietà?
Quando il testo della direttiva europea verrà pubblicato, ci deve essere un decreto legislativo di recepimento. Sarà lo Stato italiano che dirà al singolo proprietario come si deve muovere per casa sua, dandogli delle indicazioni sugli interventi da realizzare. In alcuni casi è stato ritardato il recepimento della direttiva, prendendosi anche qualche sanzione.
Rimane poi il grosso problema dei finanziamenti per adeguare gli edifici. I costi sono molto alti?
Con un provvedimento come quello del superbonus si è fatto un numero limitatissimo di interventi; figuriamoci senza. È facile rendere obbligatorio un intervento, ma poi bisogna vedere se ci sono le risorse. Gli interventi, in alcuni casi, sono molto costosi, basta prendere le medie pubblicate dall’ENEA relative all’utilizzo del superbonus 110%. Il report del 31 gennaio scorso parla di un investimento medio di 117mila euro per edifici unifamiliari, come le villette. Moltissimi italiani, questi soldi, non li hanno.
(Paolo Rossetti)
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