Scrive qualcuno che dopo un anno duro come quello che si è chiuso le persone hanno voglia di fare pazzie, festeggiare, dimenticare. Che ciò sia vero o meno, non lo so; che sarebbe una tragedia se lo facessimo, è certo. Provo a delineare la mia immagine per il 2021, che vedo caratterizzato da cinque fattori cruciali per l’economia e il benessere.



Il primo di questi fattori è la messa sotto controllo della pandemia. Per quel che mi riguarda, è da febbraio che sostengo nelle aule, sui social, nei seminari pubblici e in quelli aziendali, che la priorità assoluta è il controllo della pandemia, e che la ripresa economica seguirà. Non mi trovo in compagnia povera: la grandissima parte degli economisti condivide questa convinzione. Oggi sappiamo molto bene che la ripresa economica, che pure è ben al di là dal ristabilire i livelli di produzione del 2019, si è riavviata prima e in maniera più stabile laddove la pandemia è stata aggredita in maniera totalizzante: Corea del sud, Cina, Nuova Zelanda, Vietnam, Taiwan e pochi altri. L’ovest del mondo ha avuto e ha grandi difficoltà a capire le priorità e a organizzare la resistenza, e ciò si riflette nella minore capacità di ripresa economica: tanto per parlare di estremi, la Cina non ha subito una recessione nel 2020, tanto che parlare di ripresa per quel Paese è fuori luogo non essendovi stata una recessione; per l’Italia si prevede che essa tornerà al livello di Prodotto interno lordo del 2019 soltanto nel 2025. Un tragedia.



Il 2021 dovrà dunque essere caratterizzato da una lotta alla pandemia che richiederà l’adozione di misure più dure, sistematiche, diffuse, efficaci in tutto il mondo. La disponibilità di vaccini di cui si parla in questi giorni non deve far pensare che l’emergenza sia facilmente superabile: occorreranno anni prima che la popolazione sia vaccinata in proporzioni “sufficienti” così che la normale attività produttiva possa riprendere, i trasporti nazionali e internazionali tornino a essere operabili in condizioni non di emergenza, l’uso dei mezzi di trasporto pubblico pienamente affidabile, scuole e università possano tornare alle pratiche “normali”.



Se riusciremo a convincerci che il 2021 sarà un anno di sacrifici, e se saremo propensi a quei sacrifici, allora potremo prestare attenzione ai grandi avvenimenti economici che si stanno preparando, e a trarne beneficio. L’emergere dell’economia cinese come secondo polo di crescita dell’economia mondiale è il maggiore di questi avvenimenti. Consumata la rottura con l’economia statunitense a seguito delle politiche commerciali protezionistiche volute dal governo Usa e attuate negli ultimi quattro anni, il governo cinese lavorerà secondo un progetto di politica economica chiamato doppia circolazione. Si tratta di una prospettiva ancora non perfettamente articolata, ma il principio di fondo è che l’attività economica cinese sarà da un lato rivolta in maniera crescente alla soddisfazione della domanda interna e non più delle sole esportazioni com’era finora; e dall’altro si integrerà direttamente, senza l’intermediazione Usa, con le economie asiatiche, africane, europee secondo quello schema che fu adottato come risoluzione politica già nel 2013, schema noto come Belt and Road Initiative, generalmente tradotto con Le nuove vie della seta. Le potenzialità di questi due progetti rappresenta, a mio modo di vedere, un’opportunità importante per le imprese occidentali in quanto fornitrici del mercato cinese e orientale in generale.

Il secondo elemento di attenzione sarà dato dalle scelte politiche, interne e internazionali, del governo Usa. Nonostante i democratici Usa siano stati tradizionalmente più protezionisti dei repubblicani fino al 2016, il protezionismo protervo e provocatorio di Trump dovrebbe essere alle nostre spalle. Se effettivamente l’amministrazione Biden dovesse lavorare alla rimessa in moto, efficiente e pacifica, delle istituzioni internazionali quali l’Organizzazione mondiale del commercio e l’Organizzazione mondiale della sanità, i benefici sarebbero immediati non solo sul clima politico ma anche sulla ripresa del commercio internazionale, gradualmente ri-orientato ai principi del libero scambio. L’economia italiana, una fetta importante della quale è ormai da anni ormai orientata al mercato internazionale, trarrà beneficio da questo nuovo clima diplomatico ed economico. E in fondo anche la scelta del governo nazionalista britannico non dovrebbe danneggiare più di tanto la crescita dell’economia europea e mondiale, dato che l’accordo trovato in questi giorni esclude l’imposizione di dazi e restrizioni quantitative al libero scambio di merci e servizi tra Regno unito e Unione europea. E, sia detto esplicitamente, il contributo dell’Ue al rispetto degli Accordi del Venerdì Santo e, quindi, della pace in Irlanda, è un fatto di importanza decisiva perché il 2021 sia un anno decente.

Infine, il quadro sociale. La recessione da Covid-19 è stata feroce dovunque in termini di creazione di disoccupazione e di precarietà create nel primo semestre del 2020 e, finora, solo in parte riassorbita. In Italia il Prodotto interno lordo è caduto del 9% circa rispetto al 2019, e si prevede che nel 2021 aumenterà soltanto del 4%. In queste condizioni, gran parte della disoccupazione creata dalla recessione non verrà riassorbita entro il 2021, e diventerà disoccupazione di lunga durata, cioè difficile, se non impossibile, da riassorbire. Sappiamo che alcuni settori produttivi sono stati devastati dalla crisi, e sappiamo anche che in quei settori è molto diffuso il lavoro a contratto, a tempo determinato, “atipico”, come si dice. Questo processo di espulsione della forza lavoro finora “stabile” da un lato e di progressiva precarizzazione di tanti lavoratori atipici dall’altro sta generando, io credo, un processo di pauperizzazione di massa che sarà oltremodo difficile far rientrare in tempi brevi (cioè pochi anni): nel 2019 la quota della popolazione a rischio povertà stimata dall’Istat era del 25,6% del totale della popolazione, un numero già orrendo. Dovremo lavorare molto per contenere un’ondata di povertà crescente.