Dopo lo storico accordo con l’Iran, con la mediazione cinese, ora all’orizzonte c’è anche quello con Israele, stavolta con gli Usa che fanno da intermediari. L’Arabia Saudita è particolarmente attiva dal punto di vista diplomatico in Medio oriente, tanto che si parla già di una possibile intesa con le autorità israeliane all’inizio dell’anno prossimo. Un accordo che però non può prescindere dalla questione palestinese, vero nodo da sciogliere nei rapporti tra i due Paesi: non per niente proprio con loro, con i palestinesi, Riad ha intensificato i contatti.



Se l’accordo dovesse essere raggiunto permetterebbe agli americani di segnare un punto a loro favore in un’area dove negli ultimi anni hanno perso prestigio e influenza, mentre Netanyahu, spiega Filippo Landi, già corrispondente Rai da Gerusalemme e poi inviato di Tg1 Esteri, potrebbe mettere in secondo piano i problemi interni nati con la discussa riforma della giustizia avanzata dal suo Governo, che hanno diviso il Paese tra la sua anima laica e quella di stretta osservanza religiosa.



Qual è il contesto nel quale sta maturando l’accordo tra Arabia e Israele?

Il dialogo sotterraneo tra Arabia Saudita e Israele va avanti da molto tempo. Neppure Trump, però, sull’onda dei cosiddetti accordi di Abramo, era riuscito a convincere l’Arabia a fare il grande salto, a iniziare i rapporti diplomatici con Israele. Il re saudita era consapevole che un accordo di questo tipo fuori della soluzione del conflitto con i palestinesi rischiava di travolgere l’immagine dell’Arabia nel mondo arabo e musulmano, anche oltre il Medio oriente, facendola apparire come traditrice dei diritti palestinesi. Quello che non era riuscito a Trump ora cerca di farlo Biden, perché si rende conto che nel mondo mediorientale ci sono due tendenze che sono divaricate rispetto al rapporto con gli Usa.



Quali?

Riguardo Israele, il governo Netanyahu è stato più volte criticato sia dall’amministrazione Biden che dalla potente comunità ebraica americana. Dall’altra parte Riad, che sconta ancora il tremendo assassinio dell’intellettuale Jamal Khashoggi, ha anche un atteggiamento distaccato rispetto alla posizione americana nei confronti dell’Ucraina e ha aperto opportunisticamente alla Cina facendo la mediatrice per un accordo con l’Iran. Tutto ciò fa sì che per l’amministrazione Biden, consapevole dei rischi per gli Usa stessi in questa zona del mondo, la ripresa e il compimento dei rapporti tra Arabia Saudita e Israele possa essere un modo per riaffermare la propria presenza nell’area. Rimane per tutti (per gli americani, Netanyahu, per il principe saudita) il problema palestinese. Da qui il tentativo di prevenire le critiche e i sondaggi di tutte le componenti palestinesi, compresa Hamas, per verificare se la via dell’intesa sarà praticabile.

Alla fine quello è il vero nodo: la questione palestinese?

Sì. Ma dal punto di vista americano l’intesa farebbe comodo. Per gli israeliani, però, avrebbe il prezzo di bloccare l’occupazione ”coloniale” della Cisgiordania. Quindi sarebbe un paradossale do ut des: accordo con Riad in cambio di una modifica dell’attuale politica del governo di centrodestra, che di fatto è finalizzata all’annessione della Cisgiordania a Israele. D’altra parte per gli americani il rapporto con Riad è vitale da tanti punti di vista, il principale rimane la produzione del petrolio.

Secondo fonti governative israeliane l’accordo potrebbe già arrivare all’inizio dell’anno prossimo: un’ipotesi realistica o fumo negli occhi?

In parte si cerca di allontanare l’attenzione americana e della comunità ebraica Usa da quello che accade oggi in Israele. L’approvazione della riforma della giustizia, che ha ridotto drasticamente i poteri della Corte suprema, si accompagna a una serie di fatti minuti del vivere quotidiano che Netanyahu e il suo governo vorrebbero non fossero al centro dell’attenzione. Basti pensare al dibattito fortissimo che c’è oggi a Tel Aviv sul blocco per lo shabbat del funzionamento della ferrovia leggera che attraversa la città. Cosa normale a Gerusalemme, ma che a Tel Aviv diventerebbe un elemento di rottura con il mondo laico, che chiede che lo shabbat (la festa religiosa del riposo, nda) sia molto meno stringente. La nuova linea ferroviaria leggera è un’infrastruttura statale che ricade sotto il ministero dei Trasporti e prevede la chiusura per il sabato. È un’imposizione del governo. Di questi fatti ce n’è uno al giorno e occuparsi di altro è importante per il Governo Netanyahu.

Il vero nodo interno per Israele, quindi, rimane la riforma della giustizia?

Non solo: il problema è la dimensione laica o meno dello Stato di Israele. Spostare l’attenzione sulla possibile intesa con l’Arabia serve a Netanyahu per tenere sottotraccia tutto il resto.

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