L’accordo di per sé sarebbe storico: lo stesso premier israeliano Netanyahu all’Onu lo ha dato per vicino. Israele e Arabia Saudita sono due attori che nello scenario mediorientale sono da sempre su posizioni opposte. E la possibilità di un accordo di pace, di una normalizzazione delle loro relazioni sarebbe, per tutta l’area, ma anche a livello globale, un contributo notevole alla distensione. Quell’intesa che secondo alcuni è a un passo, però, si gioca su temi così complessi che prima di cantare vittoria è meglio essere prudenti.



Anche Giuseppe Dentice, responsabile del desk Medio Oriente e Nord Africa per il Cesi (Centro studi internazionali), ritiene che l’accordo, promosso e sollecitato dall’amministrazione Biden, sia ancora complicato da definire. L’avvio di un programma nucleare per l’Arabia e la questione palestinese non sono argomenti su cui le parti possano trovare così facilmente un punto di incontro. Il confronto, comunque, prosegue e la storia insegna che a volte anche due Stati che sono stati acerrimi nemici possono trovare un terreno comune su cui incontrarsi.



L’accordo Israele-Arabia Saudita è veramente a un passo, come sostiene Mohamed Bin Salman?

L’intesa non esiste ancora. È evidente che le leadership spingono per un accordo, ma mentre il principe ereditario Mohamed Bin Salman diceva a Fox news che è praticamente fatto, c’è stato un comunicato abbastanza duro del ministero degli Esteri di Riad in cui si condannava l’ultima azione israeliana nei confronti dei palestinesi. È su questo punto che c’è la divisione maggiore. Questa imminenza dell’accordo, quindi, è presumibile dire che non ci sia. Ci sono diversi segnali che spingerebbero le parti a ricercare un’intesa.



Che vantaggi porterebbe l’intesa alle parti in causa?

Per Biden sarebbe un grande risultato da poter rivendere in ottica elettorale, in vista delle presidenziali del prossimo anno. Dal punto di vista strategico potrebbe avere un impatto notevole anche sulla stabilità e sulla rimodulazione del Medio Oriente, anche in un’ottica anti-cinese e anti-russa. Pochi mesi fa la Cina, anche grazie all’azione di altri attori regionali, si era resa protagonista di un’azione distensiva tra Iran e Arabia Saudita e tutti hanno parlato della creazione di un nuovo Medio Oriente. In realtà entrambe le situazioni stanno contribuendo a dare una nuova forma alla regione, nella quale ci sono più attori interni ed esterni interessati a costruire un’area geopolitica in termini nuovi e gli attori regionali sono sempre più rilevanti anche per gli attori esterni. Penso alle grandi potenze: Usa, Russia o Cina. L’intesa, comunque, se mai ci sarà, dovrà avere diversi passaggi prima di ottenere una forma definitiva.

Dove stanno le maggior complicazioni?

Sia nell’ottica saudita che in quella israeliana questo accordo deve comprendere alcuni elementi. Per i sauditi non c’è solo la componente palestinese, che è importante soprattutto dal punto di vista della legittimità popolare araba, che dà importanza a questo dossier più delle proprie leadership. Occorre soddisfare la loro richiesta di riconoscimento del nucleare. In Medio Oriente l’unico Paese dotato di un ordigno nucleare è Israele e questo garantisce un vantaggio strategico notevole. Rafforzare un Paese che potrebbe divenire partner può avere delle conseguenze notevoli dal punto di vista delle scelte di politica estera. L’accordo deve passare da un confronto interno alla stessa leadership israeliana.

Gli americani hanno così bisogno di riprendere quota in Medio Oriente da essere disposti anche a concedere il nucleare ai sauditi?

Non dobbiamo pensare che gli Usa siano un attore così in uscita dal Medio Oriente: in realtà se guardiamo al rapporto con l’Arabia Saudita, pur essendoci grandi frizioni, il livello di profondità delle relazioni non è neanche lontanamente paragonabile a quello che Riad ha con Cina e Russia. Gli Usa hanno bisogno di questa intesa per sfilarsi sempre di più dalle sabbie mobili mediorientali. Hanno le necessità di demandare gran parte del loro coinvolgimento politico e militare a questi attori locali, che si professano potenze in grado di poter gestire un’area come questa. L’intesa serve agli americani per sganciarsi, minimamente o in buona parte, dal Medio Oriente per poi ritarare la loro azione nell’Indo-Pacifico in funzione anti-cinese e anti-russa.

Le posizioni di Israele e Arabia Saudita sulla questione palestinese sono molto lontane, come faranno a trovare un accordo?

È molto difficile ma non impossibile, se si vuole. Per far incastrare tutti i tasselli, comunque, ce ne vuole. Tuttavia, come disse Trump in occasione del suo piano di pace per il Medio Oriente, questo sarebbe l’accordo del secolo. Allo stato attuale vedo troppe difficoltà perché possa andare in porto.

Perché Israele dovrebbe firmare un accordo del genere, quali vantaggi ne trarrebbe?

Israele ha interesse a stabilizzare le sue relazioni con il più grande Paese arabo musulmano, con un’economia importante, con un mercato che fa gola, ma la vera questione è se questa intesa convenga più a Riad che a Gerusalemme. Gli israeliani non hanno mai nascosto la loro disponibilità all’intesa, il punto è che non sono disposti a cedere sulla questione palestinese.

Il governo Netanyahu deve fare i conti con una forte opposizione interna contraria alla sua riforma della giustizia. Ha la forza per far accettare un accordo con l’Arabia alle sue componenti più estremiste?

Anche per gli accordi di Oslo, di cui ricorrono i trent’anni, c’erano grandi aspettative e sappiamo come è andata a finire: a volte le firme possono nascondere diversi tranelli. Vedo molto difficile che Netanyahu faccia delle aperture, la parte fondamentale della sua coalizione di Governo è costituita dalla destra estrema e questo lo condanna a rispondere in primis ai loro interessi. Parlo di una destra che è divisiva, astiosa nei confronti dei palestinesi, che non accetta un certo tipo di Stato in senso liberale. Per questo vedo molto complicata un’apertura, allo stato attuale, sulla questione palestinese, a meno che venga poi del tutto disillusa, anche in un momento successivo all’intesa. Le parti potrebbero firmare per dare seguito a quello che interessa loro nell’accordo, salvo poi far finta per altri versi che non sia mai esistito se la situazione dovesse precipitare. Non sarebbe neanche la prima volta e soprattutto non sarebbe così impossibile, considerando il personaggio Netanyahu.

(Paolo Rossetti)

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