Nel 2018 le condanne a morte eseguite in Arabia Saudita erano state 148. Quest’anno, a settembre, nonostante la promessa del principe Mohammed bin Salman di ridurle, siamo già a quota 134. Attualmente ci sono 46 persone nel braccio della morte che saranno giustiziate entro la fine dell’anno, i conti sono presto fatti. Secondo uno scioccante rapporto di Human Rights reso noto in questi giorni, fra le persone uccise anche giovani che erano ancora minorenni quando sono stati condannati alla pena di morte, poi eseguita appena raggiunti i 18 anni di età. La pena di morte, secondo la legge internazionale, è vietata per chi non ha ancora raggiunto la maggiore età. Non solo: i metodi usati sono di una crudeltà pari a quella usata dall’Isis, ad esempio crocifissioni pubbliche con i corpi mutilati lasciati in vista di tutti per lunghi periodi. La decapitazione è poi usata normalmente per le persone accusate di traffico di droga o di manifestare contro lo stato.
TORTURE E FINTI PROCESSI
Sempre secondo Human Rights, le persone condannate a morte subiscono regolarmente torture al fine di farli confessare anche colpe inesistenti con processi farsa. In particolare si sottolinea l’esecuzione di due ragazzi che al momento dell’arresto e della condanna avevano solo 16 e 17 anni, Abdulkareem al-Hawaj and Mujtaba al-Sweikat. I due erano stati arrestati per aver partecipato a dimostrazioni anti governative, al momento dell’esecuzione sono stati decapitati. Il secondo in particolare è stato sottoposto a feroci torture fino a quando ha confessato di aver compiuto “crimini contro lo stato”. E’ stato rinchiuso in carcere per tre anni prima di aver diritto a un processo, mentre tra le persone giustiziate nel 2018, 58 di essere erano stranieri accusati di propagandare lo sciiismo, un ramo minoritario dell’Islam che in Arabia è proibito. Tutto questo in un paese che è uno dei massimi alleati delle democrazie occidentali e il cui petrolio è acquistato in dosi massicce.