In Arabia Saudita aumentano le esecuzioni di condannati a morte. Come riportato dall’agenzia di stampa saudita, che ha pubblicato i dati del Ministero degli interni, 18 luglio sono state giustiziate altre due persone, colpevoli di aver commesso reati legati al traffico di stupefacenti, per il quale è stata ripristinata la pena capitale nel 2022. Un cittadino saudita ed un pachistano quindi si aggiungono alla lunga lista delle esecuzioni che è già arrivata a 106 solo dall’inizio del 2024. Cioè una media di una ogni due giorni.



La situazione è stata denunciata anche dall’associazione europea-saudita per i diritti umani, che ha sottolineato in un comunicato riportato anche da Ansa: “Cento esecuzioni in 196 giorni dimostrano l’insistenza del governo saudita nell’utilizzare ampiamente la pena di morte, in violazione delle leggi internazionali e dei suoi impegni ufficiali“. Nel 2023 le esecuzioni di condannati a morte furono molte meno, 170 in tutto l’anno, di cui 33 di detenuti accusati di crimini legati al terrorismo. Rispetto allo stesso periodo preso in esame, quest’anno c’è stato un aumento.



Arabia Saudita, aumentano le esecuzioni e condanne a morte:  nel 2024 un giustiziato ogni due giorni

L’Arabia Saudita dall’inizio del 2024 ha già giustiziato a La Mecca 106 persone detenute con la sentenza di condanna a morte. Un dato che ha sollevato molte polemiche da parte delle associazioni per i diritti umani, specialmente dopo il ripristino delle esecuzioni anche per chi è stato condannato per reati legati alla droga. Le accuse dell’European Saudi Organization for human rights ESOHR sono soprattutto incentrate sulla discrezionalità del tribunale nello stabilire la condanna. In molti casi infatti non viene specificato il tipo di reato commesso, e le motivazioni sono vaghe. Il timore è che la pena di morte venga applicata anche ai prigionieri politici, con accuse di terrorismo o protezione di terroristi gonfiate per poter giustificare l’esecuzione.



Ci sarebbero anche numerose prove sul fatto che nelle carceri si applicherebbero metodi violenti, torture e intimidazioni. Fa discutere anche la decisione presa in autonomia dell’Arabia Saudita non solo di riprendere a giustiziare i detenuti accusati di traffico di stupefacenti, ma di proseguire aumentando l’applicazione della pena di morte, anche dopo la raccomandazione del Consiglio dei Diritti Umani che aveva imposto uno stop.