Non è certo questo un periodo tranquillo a Napoli e provincia per una serie di eventi delinquenziali, molti dei quali si sono conclusi con la morte. È certo invece che il rispetto per la vita, per quel dono grande che abbiamo avuto, è venuto meno. Ma quale rispetto per la mia vita e per la vita dell’altro? Ma quale sensibilità per gli attimi di respiro che ciascuno di noi compie? Solo mala-vita, solo cattiva, pessima abitudine, pessima considerazione per la bellezza di ciò che offre la giornata. Come si dice da queste parti, “aggia fa verè”, devo far vedere, devo testimoniare quanto “so’ gruoss”. Banalità e vuoto, vuoto e vacuità, insensatezza della più spudorata, vuoto e scelleratezza, “…deserto e vuoto e tenebre sopra la faccia dell’abisso” come scriveva Thomas Eliot.



Rabbia estrema, sensibilità di quella che se mi tocchi, se mi calpesti un piede ti ammazzo. Delinquenza ma di quella becera, quella vigliacca e senza alcun senso, senza significato. Pagliacciate, “scemità” come si dice sempre da queste parti perché… non ho niente da dire, da dare, da fare. Guappi di cartone, “scemi che attraversano la strada” per dirla alla Battiato, gente sfacciata, inconclusa, “sconclusa”, sconclusionata, senza una conclusione, senza un fine, senza uno scopo nella vita. Gente senza senso.



Ma non basta tutto questo a descrivere la povertà d’animo, di pensiero, di consistenza che certa gente manifesta ormai quotidianamente. Qualche giorno fa si è compiuto l’ennesimo atto delinquenziale da parte di giovani “tanto bravi e operosi” che alle 2.30 del mattino, così, giusto per riempire la nottata di eventi eclatanti, un po’ per passare il tempo, per fare la bravata del secolo, con pistola finta, tentano una rapina e, purtroppo, per uno dei rapinatori, ci scappa la morte. Ma che vuoi che sia, una “rapinuccia” così, tanto per riempire un solco profondo fatto di solitudine, disperazione, siccità mentale. “’O figlio mio…è stato ammazzato a bruciapelo, voglio giustizia” così si è espresso dolorosamente il papà del povero Luigi rimasto a terra dopo la rapina.



E così il caso dell’altro ragazzo, bravo per l’amor di Dio, incensurato, che chissà come alle tre del mattino si è trovato “casualmente” con una pistola in mano a sparare e dove ci ha rimesso la vita. E così il caso di altri ragazzi che per provare una pistola, ma che volete che sia una pistola, trovata per caso a terra (?) hanno sparato proprio in testa dell’amico. Scusate, sarà stata solo distrazione, come bere un po’ d’acqua o mangiare un panino.

Mi chiedo: ma che ci fa un ragazzo alle cinque del mattino con una pistola in mano? Cosa ci fa un gruppo di ragazzi che vanno a fare una partita a pallone, tra amici, e si portano dietro un coltello o una pistola? Certo non si sa mai, magari conviene portarla, perché se poi l’arbitro assegna un rigore contro, è bene che lo ammazzi! Si ragiona così da queste parti, per fortuna solo in certi ambienti, ma purtroppo non solo; come è successo per il povero musicista Gio Gio che alla fine del concerto, per difendere un amico, per un banale parcheggio ci rimette la vita. Che succede? Quanto vuoto incombe sulla società? Quanta droga, quanto malessere riempie le teste e i cuori di certi ragazzi?

Eh no, carissime famiglie, distanti anni luce da un modo di vivere sereno, distanti anni luce dalle domande di senso dei vostri figli, la giustizia la vorremmo anche noi, vorremmo uscire tranquillamente di casa senza correre il rischio di essere sparati, derubati, malmenati. Vorremmo tranquillità, spensieratezza per noi e per i nostri cari. Ma, evidentemente, tale tranquillità è sconquassata dall’arroganza dei vostri figli abbandonati e lasciati in mano all’istintività più bestiale. Quanta comprensione ci vuole, quanta carità, quanta umana e divina misericordia, ma quanta ingiustizia permane in un mondo che non garantisce la possibilità di lavorare, quanta miseria umana e intellettuale per favorire certe situazioni al limite dell’umana comprensione.

Due fronti, quello illegale sostenuto dalla miseria, dalla “necessità” di rubare per sopravvivere, e dall’altra parte quello in cui prende piede la spavalderia, la strafottenza per l’essere umano, per la gente per bene, per la legalità da combattere perché, appunto, io “so’ gruoss e aggia fa verè” (sono grande e devo far vedere). Mettersi alla prova come è successo per i vigliacchi che aggredirono Arturo Puoti a via Foria e per tanti che per “diletto” seminano morte e distruzione sul loro cammino. Un branco, perché solo il gruppo dà forza, da soli si è dei poveracci stracolmi di problemi e incomprensioni. E comprendiamo, accettiamo, accogliamo, favoriamo. Lo Stato non fa granché, piccoli sussidi, laboratori per imparare il mestiere, assistenzialismo pedestre, pacche sulla spalla, pieni di “ora vediamo”, poi… più nulla. Concretamente poco o niente. Giovani abbandonati a se stessi e purtroppo alla malavita che garantisce, dietro la vigliaccheria quotidiana, il soldo facile.

Quante speranze sottese, quanti desideri infranti. Si naviga in sabbie mobili dove, se da una parte il desiderio di vivere onestamente riempie gli sguardi di questi ragazzi di attesa e voglia di bene, dall’altra parte le sabbie ti tengono aggrappato alla deformità, alla presunzione, alla prepotenza, al “vil denaro” perché è meglio l’uovo oggi… Tanti ce la fanno, tanti riescono ad essere integrati in una realtà, per fortuna ancora positiva e fatta di lavoro onesto. Tanti vanno via, lasciano la città, l’Italia. Tanti altri, invece, con tutte le giustificazioni o mistificazioni di questo mondo, preferiscono la violenza più bieca, l’annientamento di se stessi e degli altri, l’assoluta estraneità da un contesto semplicemente e puramente umano.

Lo disconosco come figlio perché tutto quello che sta dicendo sono tutte palle. Se era omm se faceva a carcerazione p‘a droga. D’o riesto nun sape niente”. Tutte “palle”, tutte bugie insomma, perché l’onore di certe famiglie va salvaguardato. C’è qualcuno che ancora non si arrende, c’è qualcuno, tra i più anziani e provati da tanto male, che disconosce i figli per tutto ciò che provano. “Professò – mi disse un commerciante qualche anno fa – io vado via da Napoli perché è finito il periodo in cui i veri boss gestivano ‘ordinatamente’ il racket, ora ci sono topi che ballano e non si capisce più niente”.

Ci tocca addirittura rimpiangere l’ordine che certi capi riuscivano a tenere. L’assurdo dell’assurdo. L’altro ieri in classe una ragazza guardandomi in faccia con le lacrime agli occhi mi ha detto: “professò, noi non meritiamo tutto questo, Napoli è bella”. Ricordando il povero Arcangelo, un ex alunno finito in un gioco perverso, ci facciamo forza perché bisogna ricominciare, bisogna necessariamente riprendere, giorno dopo giorno, a sperare.

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