Conosciamo solo il 5% dell’universo, il resto, il “Dark Universe”, l’universo oscuro, è, come ha detto recentemente Fabiola Gianotti, la sfida più affascinante per gli scienziati. Quanto conosciamo dell’universo oscuro della persona, il mistero più imperscrutabile dell’intero ed infinito mondo? E fa davvero impressione che l’affidabilissimo Istat abbia potuto accertare con criteri oggettivi l’insoddisfazione dei campani, risultati i cittadini che meno se la godono in tutta Italia dopo la pandemia (La soddisfazione dei cittadini per la condizione di vita, Istat 5/23).
L’Istat certifica che in Campania è in calo anche la fiducia verso il prossimo, gli amici e le relazioni parentali. Per l’Istat, la regione con il livello più basso di soddisfazione è la Campania (35,7%), dove si registra il calo più marcato rispetto al 2021. L’insoddisfazione generale dei campani cresce soprattutto a causa dei ritardi e delle disfunzioni che si registrano nei settori più importanti e decisivi della vita sociale. Nel 2022 il Mezzogiorno si conferma il territorio che esprime maggiore diffidenza verso gli altri (18,8%) e che registra il maggior calo di fiducia rispetto al 2021 (era il 21,5%).
“La soddisfazione per la salute è l’81,5% contro il 77% del Sud”. Tra i giovani cresce la soddisfazione per il tempo libero, ma non come nel Nord. Eppure, vista la festa infinita per il terzo scudetto vinto dal Napoli, sembrerebbe che in fondo la felicità possa esplodere in modo esagerato per qualsiasi pretesto. Pochi giorni fa il presidente De Luca, partecipando ad un evento a Salerno nella “sua” famosa Piazza della Libertà, ha fatto una delle sue eccentriche affermazioni: “Piazza della Libertà ha la stessa dimensione di Piazza San Pietro a Roma: 28mila metri quadri. Là c’è il Papa, qui abbiamo il cielo, il mare e Dio, e quindi siamo aperti verso l’eternità anche noi”.
A sentire De Luca, abbiamo il paradiso in terra; ma allora, perché ci stiamo trasformando in Campania Infelix? Forse non abbiamo la migliore sanità per cui tantissimi campani migrano per le cure in strutture sanitarie più a Nord; non abbiamo la scuola più attraente ed efficiente per cui tantissimi semplicemente la evadono; non abbiamo la viabilità più sicura e una buona cura del territorio e delle risorse naturali che Dio ci ha regalato; non abbiamo i giovani che rimangono a studiare e lavorare al Sud o che tornano dopo aver frequentato l’università fuori regione.
Eppure la Campania, per un misterioso fascino, rimane tra le regioni più visitate dai turisti di tutto il mondo. Lo notava anche Giacomo Leopardi, che ha trascorso a Napoli gli ultimi tre anni e sette mesi della sua breve vita. Il 5 aprile 1834 scrive al padre: “Io sono passato a godere la migliore aria di Napoli abitando in un’altura a vista di tutto il golfo di Portici e del Vesuvio, del quale contemplo ogni giorno il fumo e ogni notte la lava ardente”. La città lo affascina e lo spaventa. La cucina del posto gli piace moltissimo e ama passeggiare da solo e recarsi sul lungomare. Lo addolorava e infastidiva che gli intellettuali della città non lo avessero particolarmente in simpatia. Invece, il poeta era ben voluto solo dal popolino partenopeo. Ciò che colpì Leopardi non fu solo l’aspetto folklorico della città, ma più semplicemente la gioia di vivere del popolo napoletano.
Dov’è finita quella “gioia di vivere” che tanto affascinava il poeta? Cosa manca per essere felici? Don Luigi Giussani, che tante volte è venuto in Campania, commentando la canzone napoletana (Mandulinata a Napule, Nuovo Mondo 2004) ricordava quanto essa abbia a che fare con il “non essere mai tranquilli”, con “le cose grandi” per cui la vita è fatta. Persino i monaci buddisti del Monte Koya gli confidarono di cantare “Torna a Surriento” come archetipo della malinconia umana: una tristezza mai astratta, bensì amorosa e stringente. Malinconia, aggiungeva, una parola in cui ci riconosciamo tutti, il desiderio di un bene assente. Possiamo ripartire per tentare di colmare questa mancanza?
Come osserva acutamente Leopardi, il poeta più amato da don Giussani da quando aveva 15 anni, “Quando egli, considerando la pluralità de’ mondi, si sente essere infinitesima parte di un globo ch’è minima parte d’uno degli infiniti sistemi che compongono il mondo, e in questa considerazione stupisce della sua piccolezza, e profondamente sentendola e intentamente riguardandola, si confonde quasi col nulla, e perde quasi se stesso nel pensiero della immensità delle cose, e si trova come smarrito nella vastità incomprensibile dell’esistenza; allora con questo atto e con questo pensiero egli dà la maggior prova possibile della sua nobiltà, della forza e della immensa capacità della sua mente, la quale rinchiusa in sì piccolo e menomo essere, è potuta pervenire a conoscere e intender cose tanto superiori alla natura di lui, e può abbracciare e contener col pensiero questa immensità medesima della esistenza e delle cose”.
Sarà solo una persona, questo universo misterioso, all’altezza dei suoi potenti desideri, che potrà ripartire e costruire spazi di umanità e di creatività che rendono possibile una esperienza e un bene per tutti. Come già accade in tanti. E quel canto di malinconia diventa come una preghiera, come una domanda, per colmare quella mancanza.
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