Si è da poco conclusa la mostra “Dante profeta di speranza” promossa dall’Associazione Culturale Giovanni Marco Calzone APS nella Chiesa di San Francesco di Paola in piazza del Plebiscito qui a Napoli, ed è in corso in questi giorni al Salotto comunale di Battipaglia. Risulterebbe evidentemente adeguato parlare di dati, informazioni, note, nonché della partecipazione di più di 6mila persone che in due settimane hanno invaso l’edificio religioso. Risulterebbe adeguato parlare di un successo cittadino, vista l’eco che ha avuto per tanti appassionati e curiosi, assessori, personalità, turisti affascinati e napoletani letteralmente presi dalla novità che la mostra proponeva. “Non una mostra su Dante ma un colloquio con se stessi” come ha sottolineato Franco Nembrini più volte, “La Divina Commedia è un ottimo spunto per incontrare giovani e meno giovani, per far porre domande sulla propria esistenza”. Di questo si è trattato: un porsi di fronte ad un poeta che più di settecento anni fa ha cominciato ad invadere le coscienze di chi lo leggeva. Lo ha continuato a fare anche ora, ponendo i visitatori di fronte a degli interrogativi su se stessi.



Qui, infatti, si vuole porre lo sguardo su alcuni adulti che hanno organizzato la mostra, che hanno realizzato in circa quattro mesi di lavoro, di incontri dal vivo, di collegamenti, non semplicemente una manifestazione ben riuscita ma un rapporto intenso, un’amicizia infettiva e affettiva che ha coinvolto decine di colleghi, vicini di casa, gente che magari di Dante non sapeva nulla. Amici che si sono fidati semplicemente di un invito a stare dentro un rapporto, corsisti della preparazione al battesimo dei propri figli che si sono sentiti coinvolti dalla “nascita” di un’amicizia strana e nuova.



Quello che si vuole tentativamente sottolineare è che c’è ancora qualcuno che si commuove nel sentirsi abbracciato, nel sentirsi interrogato, e tutto ciò non può essere scontato. Dalle nostre parti spesso prevale il “nun ce pensà” (non pensarci) quasi un monito a non approfondire, a restare superficiali e “superiori” a certe questioni. Il potere del giudizio frega sempre. Meglio essere distaccati per sparare sentenze che coinvolgersi immergendo le mani e il cuore in un “ironico tentativo” di proporre il bello. Vedere più di 120 studenti delle scuole superiori napoletane, che dopo aver preso parte ad un percorso formativo diretto da Filippo Ungar, dottorando in filologia dantesca all’Università Federico II di Napoli, sono stati da guida per i visitatori, arricchendo loro stessi e chi li ascoltava con il loro entusiasmo è stato oggettivamente bello.



“Il mio Inferno – Dante profeta di speranza” ha rappresentato un passo avanti non solo nella reinterpretazione dell’opera del sommo poeta, ma come stimolo nei giovani ad un interesse autentico e una riflessione profonda. Una sorpresa anche per il pasticciere che non si capacitava come dovesse scrivere sopra la torta che doveva preparare non un “Tanti auguri” ma “Dante profeta di speranza”. “Ma allora può essere davvero così? Chiedeva, Dante può essere addirittura fonte di speranza?”

L’iniziativa, nata dalla collaborazione tra l’Associazione Rivela di Verona, il saggista Franco Nembrini e l’illustratore Gabriele Dell’Otto (grafico della Marvel), propone un viaggio attraverso i 34 canti dell’Inferno dantesco. Un elemento caratteristico di questa esposizione è la funzione centrale attribuita ai giovani, fortemente coinvolti nell’evento: sono stati formati attraverso i Percorsi di Competenze Trasversali per l’Orientamento (PCTO), in collaborazione con l’Università Federico II di Napoli e il gruppo di ricerca del Naples Dante Project. La mostra si pone come dialogo con Dante, un incontro con un genio del Trecento e con un’opera straordinaria che ha affascinato tutti, anche chi era meno avvezzo alle questioni “letterarie o esistenziali”.

Ma come può essere contemporaneo Dante per chi lo legge ora? Come può suscitare inter-esse un’opera scritta tanto tempo fa? Come può interpellare le nostre coscienze, il nostro essere, uno scritto che già in diverse scuole viene bandito poiché additato come “troppo cattolico”?

Eh già, è proprio vero: in una realtà come quella attuale soffermarsi sulle proprie identità, sul proprio essere, è anacronistico e fastidioso. Viva l’istintività, la liquidità, la superficialità. L’attualità della Divina Commedia sta proprio nell’essere un’opera che ti costringe a domandare, a porre questioni. “Ma è proprio possibile uscire a riveder le stelle?” si chiedeva qualcuno. L’essere stata, poi, un’occasione di percorso per i ragazzi coinvolti nella formazione per il PCTO è stata fonte di un vero incontro, un sostegno all’essere. A tirar le somme, la mostra, al di là di quelle che possono essere state le disquisizioni puramente letterarie o storiche, è stato un pungolo, uno strumento che, come sottolineava Franco Nembrini, curatore della mostra stessa: “Dante può parlare ancora oggi all’uomo contemporaneo perché parla all’uomo di tutti i tempi. Ha toccato le corde più profonde della vita dell’uomo da avere valore universale. Si tratta di fargli le domande giuste, esige che ci si presenti davanti a lui ascoltandolo e ponendo le domande più vere e brucianti del nostro cuore”.

Anche Papa Francesco nella sua Candor Lucis Aeternae in occasione del VII centenario della morte di Dante Alighieri ha così commentato: “Dante, riflettendo profondamente sulla sua personale situazione di esilio, di incertezza radicale, di fragilità, di mobilità continua, la trasforma, sublimandola, in un paradigma della condizione umana, la quale si presenta come un cammino, interiore prima che esteriore, che mai si arresta finché non giunge alla meta. Ci imbattiamo, così, in due temi fondamentali di tutta l’opera dantesca: il punto di partenza di ogni itinerario esistenziale, il desiderio, insito nell’animo umano, e il punto di arrivo, la felicità, data dalla visione dell’Amore che è Dio”.

Lo spettacolo dell’evento è stato proprio questo: essersi ritrovati di fronte a persone che hanno avuto la grande occasione di confrontarsi, di mettere in discussione la propria vita, di porre domande vere.

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