L’ennesimo siparietto pseudopolitico andato in onda in questi giorni ha avuto come protagonista del tutto involontario il buon don Maurizio Patriciello, il parroco di Caivano da anni impegnato a testimoniare che un modo di vivere alternativo a quello della criminalità organizzata è più bello, godibile e desiderabile. Quante volte in questi ultimi giorni avrebbe voluto riavvolgere il nastro del tempo e non avere partecipato al convegno sul premierato patrocinato dalla Meloni. Forse lo avrà fatto per “cortesia”, per ricambiare le attenzioni della scorsa estate del Governo verso Caivano dopo gli incresciosissimi fatti accaduti (lo stupro di gruppo di due minorenni), più che per convinzione nella preannunciata riforma costituzionale. Forse.
Una cosa, invece, è sicura. L’espertissimo in comunicazione presidente della Regione Campania De Luca non ha usato il riferimento al sacerdote a caso. Certamente era consapevole di coinvolgere nella polemica un soggetto “sensibile”, aveva previsto le inevitabili reazioni (anche sul fronte interno del suo partito) e calcolato la possibilità di replicare avendo l’ultima parola. La domanda è: cui prodest? La polemica a tutti i costi è sempre foriera di un ritorno, se non politico, almeno mediatico. Sicuramente la vicenda non ha giovato a don Patriciello; per quanto possa essere dotato di spirito e autoironia (invocati da De Luca), l’accostamento a personaggi dello spettacolo e i riferimenti ironici alla frangetta certamente non lo aiutano in termini di credibilità sul territorio. E per quanto sia stata apprezzabile la sua pacata replica, oramai il danno è stato fatto.
La ovvia replica di solidarietà della Meloni era scontata, quasi doverosa e consequenziale dopo l’esposizione politica e mediatica accanto al parroco di Caivano. L’unico effetto è stato quello di non farlo sentire, ancora una volta, solo. Il governatore, dal suo canto, ha ottenuto ancor di più i distinguo del suo partito (in primis della segretaria Schlein) che non vuole saperne di vederlo alla guida della Regione Campania per il terzo mandato consecutivo. Viene il dubbio, allora, che De Luca sia un po’ prigioniero del personaggio che si è cucito addosso negli anni (complice anche il successo della riuscitissima imitazione di Crozza), per cui sembra quasi ossessionato dal tentativo di superarsi ogni volta con espressioni ad effetto. Con risultati talvolta discutibili.
Eppure proprio il governatore, in una recente intervista, a proposito delle resistenze interne al Pd rispetto alla sua ennesima candidatura alla guida della Regione, aveva detto: “Non che mi aspetti che mi si dica grazie, ma perlomeno non mi rompete le scatole, fate perlomeno le persone educate. L’educazione non è un optional, vorrei ricordarlo a qualche giovanotto del Pd, ma una precondizione. Se fossimo un partito serio – conclude De Luca – avremmo parlato di quanto fatto alla Regione Campania per sputare sangue e rivendicare con orgoglio le cose fatte. Ma invece siamo dei maleducati, geneticamente scostumati, almeno alcuni di noi”.
Mutatis mutandis possiamo utilizzare le sue parole anche nel caso di cui ci stiamo occupando: don Maurizio non ha bisogno dei grazie di nessuno e quanto meno non rompetegli le scatole. Comportiamoci nei suoi confronti come con tutti, come persone educate. L’educazione, appunto, non è un optional. Facciamo i seri e se proprio si deve parlare di lui, evidenziamo le tante cose che ha fatto sputando sangue dove molti (a partire dallo Stato, per stessa ammissione di De Luca) per tanto tempo sono stati colpevolmente assenti. Facciamo gli educati e facciamolo andare ai convegni che vuole. Anche perché, di chi va ai convegni, chiunque li organizzi, non interessa nulla a nessuno.
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