Al di là delle simpatie politiche, tutti riconoscono che il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, come pochi è riuscito a sfruttare al meglio le opportunità che i media oggi offrono, tant’è che ha fatto dell’efficacia della comunicazione un cardine importante della sua azione politica.

Ma, si sa, la stima degli amministrati nonché quinquennali elettori è mobile e la fortuna degli eletti è spesso dettata dal particolare momento in cui si svolge la tornata elettorale. A De Luca stavolta è andata di lusso, facendogli recuperare un amplissimo consenso che prima della pandemia i sondaggi davano irrimediabilmente perso; il lockdown gli ha consentito intemerate televisive in cui ha sfoggiato il meglio (che talvolta corrisponde anche al peggio) del paternalismo folkloristico che a noi partenopei, inutile negarlo, piace assai. Parole come “cinghialoni” e “lanciafiamme” sono oramai esempi di comunicazione diretta ed efficace. La situazione di emergenza ha anche consentito a De Luca di prendere decisioni che gli hanno fatto sorpassare a destra il governo nazionale: Conte dà 650 euro alle partite Iva? Lui ne dà mille ai professionisti con semplice autocertificazione e li eroga sui conti correnti in tempi che, in confronto a quelli dell’Inps, sono nanosecondi. Chapeau!



Ora, però, la primavera e le elezioni sono passate e, soprattutto, è cambiato il momento. La crisi pandemica si è riproposta con numeri che nessuno avrebbe più voluto vedere; a questa si è accompagnata la crisi sociale ed economica che, in contesti atavicamente provati per motivi che non bastano tomi enciclopedici a spiegare, assume toni drammatici e, a tratti, decisamente tragici. Le decisioni in queste situazioni non sono mai popolari e De Luca lo sa bene. Per preparare il campo a provvedimenti difficili da digerire, ha puntato la comunicazione soprattutto sui dati della diffusione esponenziale del contagio, minacciando anzitempo chiusure più o meno totali a seconda del livello della sua crescita.



Alla base di questo c’è una precisa scelta politica, incoraggiata dall’efficace gestione della crisi di primavera. Allora i contagi erano bassissimi, il lockdown è stato deciso a livello centrale e le strutture ospedaliere hanno retto; nessuno sa fino a che punto potranno farlo nel caso in cui i contagi dovessero andare fuori controllo. Questo ha spinto De Luca a puntare tutto sul contenere il più possibile la diffusione del contagio. Il richiamo alla responsabilità dei cittadini, però, da solo non basta. E le scelte conseguenti non sempre risultano comprensibili. Le metropolitane sono piene perché gli studenti le riempiono quando vanno a scuola? Si cerca una soluzione chiudendo tutte le scuole della regione, anche quelle di paesi dell’Irpinia, del Cilento, del Sannio dove i contagi sono bassissimi o nulli e a scuola si va a piedi! Con un’eccezione (eh sì, perché se non c’è una eccezione la regola sembra meno efficace): i bambini autistici, volendo, possono frequentare “previa valutazione delle specifiche condizioni di contesto”. Nasce spontanea la domanda: ha senso frequentare una scuola dove non si ritrovano i compagni? Che fine fanno tutte le mirabolanti teorie sull’inclusione? Gli alunni, però, possono stare tranquilli: i ricorsi sono già pronti e forse potranno tornare a scuola, a patto che il Tar Campania la pensi come il Tar di Bari; si devono rassegnare, invece, se il giudice amministrativo sposa la tesi del Tar di Lecce. Diciamolo pure: è un casino!



In un quadro generale completamente mutato a distanza di appena sei mesi, si ripropone la solita questione: nessuno, e in primis la politica, ha più il coraggio di assumersi la responsabilità di decidere. Se in primavera la paura per la salute era l’unica o quanto meno la prevalente (il che giustificava qualsiasi provvedimento anche se preso in barba alla Costituzione), ora si è aggiunta quella di non riuscire a mettere il piatto a tavola che è pari, se non maggiore, di quella sanitaria. A questa situazione la politica (a tutti i livelli) non sa, o semplicemente non può, dare risposte che accontentino tutti. Più facile allora praticare lo sport dell’equilibrismo basato su dati in vario modo interpretabili e su bonus sparsi un po’ qua e po’ là; da ultimo, mal che vada, si ricorre allo scaricabarile, attività in cui la stirpe italica è particolarmente competitiva. 

E così, dopo l’inclusione della Campania nella sbiadita zona gialla nella nuova versione policromatica dell’Italia, De Luca parla di miracolo campano in primavera e al contempo segnala “qualche imbecille che va in giro in tv solo per parlare male di Napoli e Campania, sindaci che magari non hanno alzato un dito per mettere ordine, controllare la movida, contenere il contagio nella loro città. Persone che vengono usate come ‘lo scemo del paese’, per parlar male di Napoli e Campania”.

Questi sindaci, a dire il vero, sono molto più popolari in televisione che non tra la gente e De Luca dovrebbe capire che la polemica in quanto tale non fa comparire d’incanto i piatti a tavola. Questo forse non è neanche compito della politica; ma non ci vuole Mattarella per capire che non è il momento delle divisioni e contrapposizioni, anche un bambino che fa la Dad e che non ha bevuto “latte al plutonio” lo capirebbe. In tempi di sempre crescenti difficoltà, anziché proclami, attacchi politici, promesse e sovraesposizione mediatica la gente ha bisogno soprattutto di trasparenza e verità, senza le quali ogni sacrificio richiesto sarebbe fatalmente incomprensibile; e le conseguenze di questa incomprensione, nelle condizioni attuali, come le recenti manifestazioni di piazza avrebbero dovuto insegnare, sono oggi da tutti difficilmente prevedibili.