A maggio si vota. Pandemia permettendo, i consigli comunali, giunte e sindaci delle principali città italiane saranno rinnovati. Una volta traghettata l’Italia verso il rassicurante approdo draghiano e messa al sicuro la gestione dei fantamiliardi che arriveranno dal recovery fund, l’attenzione della politica nazionale sarà catalizzata dalle vicende elettorali di Milano, Roma, Napoli, Bologna, Torino (che insieme fanno più del 10% dell’intera popolazione nazionale). Il cliché è noto; i partiti cercheranno di dare alla tornata elettorale una rilevanza nazionale per incrementare la polemica politica e rivendicare per le 48 ore successive al voto una vittoria che, dati alla mano, ognuno troverà la modalità di accreditarsi.



Sul territorio la questione è diversa. Il sindaco e la giunta rimangono in sella per cinque anni (commissariamenti permettendo) e le capacità degli eletti possono fare la differenza.

Napoli, come al solito, fa storia a sé. I dieci anni della gestione de Magistris non passeranno certamente alla storia della città; a parzialissima scusante per il sindaco uscente vi è la situazione disastrosa delle casse comunali, sempre sull’orlo del dissesto. Tuttavia questa è storia risalente almeno al 2013; la questione negli ultimi anni non è migliorata (anzi!) e questo non contribuisce a dare un giudizio positivo sul mandato svolto. In ogni caso, motivi di rimpianto per la stagione politica che sta volgendo al termine, per il momento non ne emergono.



Il nuovo sindaco erediterà il pesante fardello finanziario e sarebbe interessante sapere come i candidati intendono affrontare il problema che dovrebbe essere tra i primissimi argomenti dei programmi proposti.

Invece, a meno di tre mesi dalla tornata elettorale, a stento si sta delineando la griglia degli aspiranti sindaci. Ovvio che nessuno intenda “bruciarsi” ma i tempi sembrano oramai maturi e qualcuno ha già rotto gli indugi come l’ex governatore Bassolino o il l’avvocato Sergio Rastrelli, figlio di un altro compianto governatore, Antonio.

Se non è ancora completo il campo dei contendenti, i programmi elettorali sono addirittura in alto mare; per il momento ci sono solo mere dichiarazioni di intenti (nobilissimi, per carità): si scende in campo per mettere la città davanti a tutto senza inseguire interessi di parte, per dovere verso i cittadini, per dare una svolta nel segno di una discontinuità, per compiere scelte coraggiose e via dicendo. Di proposte sul come saranno affrontate le questioni concrete (alcune divenute ancora più drammatiche a seguito della pandemia), fino ad ora, non è dato sapere. Come detto, la zavorra dei conti pubblici comunali, condizionerà non molto l’azione degli amministratori, quindi esporsi troppo può essere controproducente; però questo non esime dal mettere sul piatto i problemi della città (e che problemi!!!) e le proposte, se non per risolverli, per iniziare quantomeno ad affrontarli. Anzi, prospettare soluzioni è doveroso, anche perché pare che nessun dottore abbia prescritto obbligatorie candidature a sindaco.



Per carità, non è che al rispetto dei programmi dei candidati si sia mai appassionato più di tanto nessuno e la durata dei mandati elettorali sbiadisce nel tempo promesse e proclami; però, nella fase della campagna elettorale, possono dare l’idea quanto meno dello spessore della proposta politica e della sensibilità ai problemi veri della città. Per ora, come detto, su questo versante, calma piatta.

Nel 2016 quasi sei napoletani su dieci hanno rinunciato a votare; la prima sfida che devono vincere i candidati sindaci è quella di dare un motivo ai cittadini, che la volta scorsa sono rimasti a casa, a recarsi di nuovo alle urne. La via maestra è quella di porre sul tavolo questioni e bisogni concreti, perché sanno benissimo che, come si dice a Napoli, “chiacchiere e tabacchiere di legno il (fu) Banco di Napoli non le impegna”. Attendiamo fiduciosi una sana concretezza.

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