Finanza sostenibile, sussidiarietà, bene comune, biodiversità: per non essere concetti astratti o solo idee alla moda devono trovare declinazioni concrete nella realtà. E’ quanto è emerso dall’incontro, tenuto mercoledì 10 marzo presso la Fondazione del Banco Napoli, in occasione della presentazione del rapporto della Fondazione per la Sussidiarietà dedicato al rapporto tra sussidiarietà e finanza sostenibile.



Il tema, alla luce della crisi economica scatenata dalla pandemia, è di particolare attualità. Tutti i relatori hanno sottolineato l’importanza di non sprecare l’occasione fornita dal Recovery Fund per recuperare il gap in termini di Pil, servizi, opportunità, attrattività per gli investitori stranieri, divario che il Sud sconta oramai da troppi anni per trovare plausibili giustificazioni.



L’opportunità non è solo quella di ricevere finanziamenti, ma di rilanciare un nuovo concetto di sviluppo in cui operatori istituzionali, realtà imprenditoriali e bisogni del territorio devono necessariamente interagire, o per meglio dire, allearsi; senza ciò, investimenti e Pil in crescita non assicurano il ridursi delle disuguaglianze sociali, a tutti i livelli. Tant’è vero questo che, come sottolinea Felice Siciliano, consigliere della Fondazione, lo stesso Draghi ha deciso di riscrivere il Recovery Plan, “perché è entrato in gioco un altro punto importante: è considerato strategico il coinvolgimento sociale per sostenere investimenti e riforme”.



Incalzati dalle provocazioni del direttore del Corriere del Mezzogiorno, Enzo D’Errico, gli intervenuti hanno analizzato le opportunità che bisogna necessariamente cogliere in questo delicatissimo periodo.

Dalla consapevolezza diffusa che l’attuale paradigma di sviluppo non sia più sostenibile anche da parte dei grandi gruppi finanziari, cosa neanche pensabile trent’anni fa come ha giustamente osservato Carlo Borgomeo, presidente della Fondazione Con il Sud, emerge l’importanza della biodiversità come coinvolgimento di tutti i soggetti all’interno del sistema finanziario; questo non persegue il suo scopo di sostenere il bene comune se non è mobilitato al fine di raggiungere ogni piega dell’economia. Senza attivare processi che mirino a questo obiettivo, non è possibile nessuna ripresa stabile, come è emerso dal rapporto illustrato dal professor Alberto Brugnoli.

Il territorio è l’elemento chiave: partendo dalle sue istanze, possono nascere realtà che riqualificano il tessuto sociale. Fondazioni, banche, realtà imprenditoriali, terzo settore devono correre insieme per creare modelli di sviluppo sostenibile e non meramente legate al profitto.

In sala le testimonianze, fioccano: il germe sempre più vigoroso della realtà cooperativistica nata intorno alle catacombe di San Gennaro che costituisce un punto di ri-partenza di un quartiere carico di problemi come il Rione Sanità;  la Fondazione Banco Napoli, rilanciata dalla passione della prima presidente donna in 500 anni di storia, Rossella Paliotto, che àncora le proprie iniziative alla valorizzazione di Forcella, dando fiducia a progetti sostenibili non solo dal punto di vista di ritorno economico, ma che posseggano anche un valore aggiunto che è solo apparentemente immateriale: la capacità dei soggetti di creare reti, rapporti, relazioni, rafforzando così anche la comunità; la voglia di raccogliere la sfida degli industriali testimoniata dal vicepresidente di Confindustria, Vito Grassi, che avverte anche come le competenze e le capacità progettuali non debbano essere ingabbiate da una burocrazia irragionevole; il radicamento nel territorio conquistato in brevissimo tempo della Banca di Credito Cooperativo di Napoli sotto la guida di Amedeo Manzo, che evidenzia la necessità di valutare non solo il rating che emerge dai bilanci, ma anche un rating “umano” che valorizzi chi merita; così il sostegno alle piccole e piccolissime imprese diventa un modo concretissimo di fare welfare. E se spesso fondi di investimento si rifiutano di operare al di sotto di Roma, colossi internazionali come Huawei non hanno paura di osare scommettendo sulla credibilità dei propri interlocutori progettando di aprire una sede a Napoli che dovrebbe garantire mille posti di lavoro nell’epoca del post-Covid.

Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, avverte però che per realizzare questo nuovo sistema di sviluppo sostenibile non c’è bisogno di vagheggiare nuove classi dirigenti ma, come già a tratti accade, innanzitutto riprendere coscienza di cosa voglia dire fare finanza come elemento imprescindibile di sviluppo e di welfare e non considerarla un mezzo per arricchire solo alcuni. La storia delle casse rurali e delle casse di risparmio insegna: fortemente ancorate al territorio, queste avevano lo scopo di raccoglierne i bisogni concreti e aiutare i piccoli imprenditori a sostenere le loro aziende.

C’è una ripresa dell’uomo quale elemento centrale di questo aspetto anche ai massimi livelli se è vero che da pochissimo è entrato in vigore un regolamento dell’Unione europea che introduce una serie di obblighi per banche e operatori finanziari come, per esempio, la comunicazione ai propri clienti sulla sostenibilità dei prodotti e servizi offerti.

Se le mura della sede della Fondazione del Banco di Napoli, dove si è svolto l’incontro, potessero parlare, approverebbero sicuramente quanto detto da Vittadini. Infatti, la storia della Fondazione ha la sua origine con la nascita dei banchi pubblici dei luoghi pii, sorti a Napoli tra XVI e XVII secolo. La prima delle opere pie a svolgere attività bancaria fu il Monte di Pietà, fondato nel 1538 con lo scopo filantropico del prestito su pegno senza interessi; ne seguirono in breve tempo altre sette, di cui solo una con scopo di lucro. Il legame al territorio e la finanza sostenibile erano già un fatto concreto 500 anni fa.

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