Dopo un anno di emergenza sanitaria, uno dei principali effetti immediatamente riscontrabili a Napoli è la difficoltà, ancor più accentuata di prima, di avviare un discorso politico-amministrativo che coinvolga gli organi civili e gli enti diramati nei territori specifici: molte iniziative appaiono cablate dall’alto e il potere dei comitati civili, che pur esistono e cercano di partecipare attivamente alle decisioni, risulta piuttosto ridimensionato.
I tempi esigono distanziamento sociale e una certa diffidenza verso il prossimo e ciò che risulta dalla dialettica tra gli organi urbani riguardo l’attività territoriale è una duplice indifferenza: in realtà provate da lockdown e chiusure, il rischio è quello di tendere alla sopravvivenza individuale piuttosto che verso il prossimo, e non c’è terreno più fertile affinché decisioni di enti ed amministrazioni passino sotto silenzio. Guardare oltre il proverbiale orticello rappresenta una quotidiana sfida a cui siamo sottoposti, affinché le decisioni diventino nuovamente politiche e razionalmente utili ad un tessuto sociale che si sta irrimediabilmente sfaldando.
Esistono, a questo proposito, numerose iniziative che non si preoccupano d’altro che della salvaguardia degli invisibili della città, nella più disinteressata cura nel ristabilire un rapporto di sussidiarietà tra lo strato e il sostrato civile. Abbiamo incontrato Giordana Innocenti, una ragazza di 24 anni che ha dato di recente vita ad una di queste iniziative. Tendiamoci è una realtà fatta principalmente di incontri e iniziative spontanee, un luogo in cui incontrarsi per raccontare una realtà territoriale quotidiana e agendo attivamente su questa, in diversi modi. Il metodo principale consiste nella raccolta di donazioni o indumenti caldi, per poi consegnarli a coloro che queste strade, liberamente o per forza di cose, le abitano.
Com’è nato Tendiamoci?
Durante la quarantena mi sono svegliata di notte durante un tremendo temporale (temporale del 25 Settembre 2020 che ha portato gravi danni al quartiere Montecalvario, n.d.r.). Guardandomi intorno, mi sono resa conto che in quella situazione io ero al caldo, nel letto e con i termosifoni accesi, mentre c’era chi era costretto a stare sotto la pioggia, per strada. Napoli poi non è come altre città, ad esempio come Bologna, e offre rari rifugi naturali o architettonici. Quindi quasi per caso ne ho parlato con il mio ragazzo Emanuele, e abbiamo pensato a come un gesto semplice come quello di donare una tenda avrebbe potuto cambiare le cose e dare un aiuto enorme a queste persone in difficoltà. Ho ripreso sonno solo dopo aver pensato ad un nome per questa iniziativa, che appunto è un gioco di parole tra la tenda e il tendersi verso l’altro. Dopo pochissimo ne ho parlato a degli amici, abbiamo creato una pagina su Facebook e dopo una settimana c’è stato il primo incontro, che ha avuto una notevole risonanza anche mediatica.
Come ha risposto Napoli a questa iniziativa?
Quello che noto è che le persone, anche indipendentemente da quello che facciamo noi, hanno iniziato a portare indumenti o coperte a chi dormiva per strada, e questo mi fa pensare che avessero bisogno soltanto di un incentivo e di un punto di riferimento che settimanalmente concretizzasse ciò che molte volte resta solo un pensiero. A me interessa poco il merito, l’obbiettivo forse un po’ utopico è che tutti arrivino ad occuparsi di qualcuno, sia grazie ad iniziative come questa che autonomamente. Il problema è che a risentire delle crisi, delle pandemie e delle tragedie in generale su scala mondiale sono sempre gli ultimi, e questo fatto è insopportabile. Agli incontri ci si confronta sulla realtà territoriale dei quartieri, magari segnalando delle persone che abitualmente dormono in strada, e una volta raccolte le donazioni e comprate le tende li incontriamo e ci confrontiamo con le loro esigenze. Spesso preferiscono indumenti caldi alle tende, e noi ci muoviamo di conseguenze per procurarli. Altre volte, quando non abbiamo segnalazioni, basta percorrere le strade del centro di sera per trovare moltissime persone in difficoltà a cui può essere di enorme aiuto il materiale che viene donato o che compriamo con le donazioni dei ragazzi che aderiscono all’iniziativa.
Avviene esattamente il contrario del decadimento sociale di cui si parlava sopra. Il tessuto strappato dalle intemperie sanitarie e dalle misure repressive viene minuziosamente ricomposto a partire da un gesto semplicissimo, da cui poi nasce la storia di un legame, e non è affatto scontato: se il gesto di Giordana e dei ragazzi di Tendiamoci fosse stato solo potenziale, se lo sguardo che rivolgono a queste persone avesse tergiversato, reso miope dalle subdole distrazioni che affollano la mente, queste storie non esisterebbero. Nei post sul gruppo Facebook, infatti, in cui vengono condivisi gli aggiornamenti sull’attività di distribuzione e sull’impiego delle donazioni, si leggono nomi, si osservano volti.
“Quando vado ad incontrare queste persone mi soffermo sempre a parlare con loro, perché è bello creare un rapporto. Conoscere il carattere e le origini di una persona ti induce poi quasi automaticamente ad affezionarti alla sua storia. Ricordo Brigitte, l’unica signora che abbiamo fotografato in volto. Era una signora davvero bellissima, stava seduta sulle scale dalla galleria del popolo con un’espressione incredibilmente serena. Ricordo David e Sebastian, i ragazzi che lavano i vetri ai semafori di via Salvator Rosa, a cui portai dei vestiti. Ora ogni volta che passo ci salutiamo. Il rapporto più bello l’ho creato con Maria e con suo figlio Daniel, un bambino bellissimo e molto vivace, a cui abbiamo fatto visita diverse volte. Spero che queste storie diffondano la gioia che provo io ad incontrare e a riconoscere queste persone, negando l’indifferenza, perché so che tra noi esiste un tipo di legame raro e spontaneo.”
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