Mai avremmo pensato di avere, un giorno, al governo i nipotini di Mussolini; ma da quanti anni abbiamo al potere quelli di Stalin? Il presidente della Campania Vincenzo De Luca, anche per la veneranda età anagrafica e politica, è uno dei più abili sopravvissuti alla fine dello stalinismo e del comunismo.

Gran cabarettista e capocomico di una grande compagnia di comparse. Erano 700 a Roma, travestiti da sindaci e amministratori che il perfetto capopopolo mascellato guidava, infuriato a favor di telecamera, all’assalto del Palazzo, totalmente immerso nel personaggio. Sabato poi, grande spettacolo a teatro, a Napoli, circondato da registi, attori, intellettuali, uomini e donne di cultura che vogliono e sanno che “se vivono è solo per grazia dei potenti”. È da sempre così, questuanti alla corte del potente di turno per tenere in vita carrozzoni che altrimenti morirebbero.



È dal 2022 che un altro gruppo di autorevoli intellettuali provenienti dal mondo della cultura e della politica, prevalentemente campani, ha squarciato finalmente il silenzio calato da tempo sul dibattito pubblico e sul Partito democratico intorno alla figura di De Luca. Brevi saggi che tratteggiano una fenomenologia accurata di Vincenzo De Luca e del suo modo di intendere la politica e la gestione del potere. Noto con i soprannomi significativi di “Pol Pot”, “don Vincenzo”, “Sceriffo”, “Vincenzo la fontana”, il “lanciafiamme”. Comunque un personaggio, il presidente della Regione Campania che viene descritto quasi come un rex legibus solutus: un sovrano libero da vincoli di legge, la cui azione ha come unico fine il mantenimento del potere.



Invece, gli intellettuali presenti nel teatro napoletano erano tutti infuriati per il progetto di autonomia differenziata di là da venire. Peccato non si siano accorti che la “differenza” è già un fatto in Campana, da anni: abbiamo la peggiore sanità ed il più alto abbandono scolastico, per non parlare d’altro. È in atto una desertificazione giovanile della Campania. Le statistiche sono impietose. Basta leggere un breve stralcio di due recenti rapporti. “Esaminando le posizioni occupate dalle province campane nella distribuzione nazionale, il livello di benessere relativo della regione è più basso sia rispetto all’Italia sia rispetto al complesso dei territori del Mezzogiorno. Nell’ultimo anno di riferimento dei dati, il 54,7 per cento degli indicatori collocano le province della Campania nei due livelli meno virtuosi (a fronte del 47,1 per cento del Mezzogiorno e del 33,9 per cento della media-Italia). Lo svantaggio della regione rispetto alla ripartizione di riferimento è più rilevante se si considera la classe medio-bassa di benessere – in cui ricade il 29,8 per cento degli indicatori della Campania contro il 23,7 del Mezzogiorno – mentre il distacco si riduce per la classe più bassa (24,9 per cento in Campania, 23,4 nel Mezzogiorno). Nelle due classi di benessere più elevate ricade soltanto il 21,0 per cento delle misure, un valore di 5,4 punti percentuali inferiore a quello medio della ripartizione di appartenenza e più che dimezzato rispetto alla media nazionale (42,7 per cento)” (ISTAT, Campania 2023, Bes dei Territori).



“La sanità campana è tra le peggiori in Italia, quart’ultima per performance e sedicesima per efficacia e qualità delle prestazioni fornite. Ultima per mobilità interregionale con quasi 3 miliardi di euro in saldo negativo. Dai numeri del rapporto risulta chiaro che in Campania si muore prima che nel resto d’Italia con un’aspettativa di vita di 83,1 anni per le donne (la media nazionale è di 83,7) e una media di 78,8 anni per gli uomini, rispetto al dato nazionale di 80,5 anni. Dai dati della ricerca emerge che le morti “evitabili” hanno il numero più alto in Campania ed anche il tasso di mortalità legato ai tumori è uno dei più alti in Italia. (Rapporto 2024 Svimez in collaborazione con Save the Children Italia sullo stato della sanità in Campania).

Chi può fare la differenza? Papa Francesco in una bella intervista al Mattino di qualche mese fa si rivolgeva ai giovani: “A voi direi però di avere coraggio. Di guardare oltre l’orizzonte. Non si può vivere senza coraggio! Il coraggio per affrontare le difficoltà di ogni giorno. Il coraggio per provare a cambiare ciò che va cambiato, di non accettare come inevitabile un destino sbagliato. Penso che uno dei mali del Sud sia anche la rassegnazione. Il lasciare che le cose vadano come sono sempre andate anche quando sono sempre andate male, adeguandosi al male fino a divenirne inconsapevolmente parte. Nessuno dovrebbe essere costretto a migrare. Nessuno dovrebbe essere costretto a restare. La sfida non è cercare quel che non c’è, tantomeno aspettarlo come si aspetta una vincita alla lotteria; ma crearlo, cambiando quel che c’è. Il mondo ha tanto da imparare dal Sud del mondo in termini di solidarietà, di rapporto con il tempo, con la storia, con la terra. Anche per questo ho chiesto ai giovani economisti di tutto il mondo di costruire una rete di pensiero intorno ad un diverso modello di sviluppo. E sono convinto che in questo esercizio collettivo di creatività un ruolo importantissimo lo avranno i giovani del Sud del mondo. Anche i giovani di Napoli e del meridione d’ Italia”.

Ci provano i giovani studenti dei licei economico-sociali della Campania riuniti in rete a raccogliere questa sfida e a percorrere questa strada. Dopo un intenso lavoro, svolto con l’équipe The Economy of Francesco, si incontreranno ad aprile a Capua, presso il Dipartimento di Economia dell’Università Vanvitelli, per una giornata di studio, di confronto e di testimonianze.

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