La recente conferenza stampa di Nicola Gratteri, procuratore capo della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, ha dettagliato i risultati dell’ultima inchiesta nei confronti del clan Amato-Pagano, culminata in una retata con 53 indagati. Saranno ospitati costoro dalle patrie galere? Ai giudici competenti la futura (speriamo non troppo) risposta.
Nell’attesa dei processi, Gratteri evidenzia due aspetti che sono rappresentati come elementi di novità. Da un lato, l’uso dei social da parte del clan, finalizzato all’ostentazione dei mirabolanti risultati economici conseguiti; dall’altro, l’addestramento di minori al crimine, in particolare nel campo delle estorsioni. Taglieggiare, imparare a incutere timore e, soprattutto, portare a casa il risultato (il danaro), sono gli step di questo singolare percorso accademico. Spiega il magistrato che questa operazione di reclutamento non solo risponde all’esigenza di rimpolpare le fila dell’organizzazione ma anche, e soprattutto, di controllare capillarmente il territorio.
In tutta sincerità, mi si conceda il gioco di parole, mi meraviglia che ci si meravigli di tanto. Le organizzazioni criminali sono sempre al passo con i tempi e li cavalcano con largo anticipo rispetto a chi dovrebbe contrastarle. L’utilizzo di TikTok, più che altro, è contrario al cliché di queste attività, che preferiscono profili bassi rispetto alla ostentazione, per non attirare sgradite attenzioni da parte dei tutori della legge; il che potrebbe indurre a pensare che confidano in un conclamato profilo di impunità.
Men che meno “l’addestramento” al crimine dei minori può essere presentato come un “salto di qualità”. La camorra ha sempre attinto tra le giovani e giovanissime leve per raggiungere i suoi obiettivi. Per esempio, nei primi anni 80 il termine “muschillo” balzò agli onori della cronaca nazionale; precisamente nel 1985 il vicequestore di Napoli raccontava di questo fenomeno di baby-spacciatori, i muschilli appunto, non più grandi di 10 anni e chiamati così perché, sfuggenti come i moscerini, la facevano in barba anche ai poliziotti dei reparti speciali; con il grande valore aggiunto di essere infraquattordicenni e, quindi, non imputabili penalmente. Il tutto con il beneplacito delle famiglie, attesi i facili guadagni neanche paragonabili a chi si alza presto la mattina per portare il pane a casa onestamente.
Il fenomeno rimane distinto rispetto a quello della semplice delinquenza minorile, pur fatta di reati odiosi e dal particolare allarme sociale. Infatti, i ragazzi di cui parla Gratteri sono organici a determinati fenomeni di delinquenza organizzata e quello “camorristico” finisce per essere l’unico “modello culturale” di riferimento. Infatti, sono figli e nipoti di persone già camorriste; ne discende che sono educati non semplicemente come figli ma come potenziali soldati pronti a diventare affiliati dei rispettivi clan.
In ogni caso, niente di nuovo sotto il sole. Piuttosto bisognerebbe stupirsi di altro e porsi qualche domanda. Per esempio, lo Stato ha lo stesso interesse della camorra ad avere il cosiddetto controllo del territorio? In certe zone, pare che senza questo controllo regni l’anarchia o l’altro ordine costituito (quello malavitoso per intenderci, a quanto pare, più efficiente dello Stato). All’attualità, a giudicare dai fatti, si propenderebbe per la risposta negativa.
Ancora, se il fenomeno dei minori “assoldati” dalla criminalità organizzata risale almeno a quarant’anni fa (per quello che ci è dato di sapere), cosa hanno fatto in questo periodo le istituzioni per arginare il fenomeno? Ci consta poco o niente. Per inerzia o incapacità? Per scelta o assenza di sensibilità? Disinteresse o scarsa rilevanza elettorale della questione? Come sempre facciamo, lasciamo le domande aperte. Attesa la drammaticità della questione, però, speriamo trovino quantomeno un tentativo di risposta.
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