Caro direttore,
una pioggia di euro sulla scuola, attenzione (economica) per rilanciare una scuola in crisi. Ci voleva una pandemia così cruda e sfiancante per ridare attenzione al corpo della scuola che pian piano porge, anche al più superficiale osservatore, le sue costole scarne e il vuoto ideale che da tanto tempo lasciava presagire. Decreti, norme, indicazioni ministeriali, una successione indiscriminata di proposte senza un filo conduttore che permettesse alla scuola tutta di poter emergere.



Ma la scuola chi è? Cos’è? Come risorgere da queste macerie educative se il corpo stesso della scuola è preda di attacchi ideologici di ogni specie? Un attacco assolutamente sottile, viscido, pieno di tante buone e strategiche intenzioni di ben altra natura, non certo calzanti con ciò che la scuola attende. Progetti, iniziative, vogliamoci bene, integriamoci, integriamoli, accogliamo, unifichiamoci, democratizziamoci, appiattiamoci …polverizziamoci.



Una professione, quella del docente, soggetta ad integrazioni esterne perché “il professore”, “la maestra” non è più capace di in-segnare. Occorre un esercito di esperti esterni per portare avanti i disegni di ben altre sfere, e finalmente si riesca a superare le, poche, barriere educative ben consolidate. Altrimenti come entrare a scardinare una storia scolastica che, stranamente, ha generato una così ampia schiera di uomini e donne come quella dei nostri genitori, più salda, credo, di quella attuale.

E vai con iniziative, progetti per il rilancio della scuola. E giù una pioggia di milioni perché i ragazzi non devono stare per strada o con i genitori (?), ma bisogna accoglierli a scuola, aperta 24 ore su 24 come i supermercati di nuova generazione. Salvo poi, nel vedere i piani finanziari di questi progetti, accorgersi di qualcosa di molto strano. Un iceberg, una montagna per partorire un topolino: risulta quasi evidente come ogni progetto venga calibrato non tanto sulle reali necessità dei singoli alunni bensì sulle tasche di funzionari regionali di ben strutturata esperienza non certo educativa ma economica. Funzioni progettuali, supervisioni, partenariati, coordinatori generali, curatori di aspetti amministrativi, custodi di atti necessari alla rendicontazione, comunicatori dialogici, informatori e così via. Una marea di figure che non hanno neanche idea di come poi venga svolto nel pratico il progetto nudo e crudo.



Ma chi lo svolge il progetto? Chi cura il rapporto con le famiglie e con gli alunni? Permessi, carte, burocrazia, lavoro, coinvolgimento, suppliche per avere un po’ di materiale didattico per svolgere l’iniziativa, domande, richieste, autorizzazioni. Semplice la risposta: il tutor, l’insegnante, colui che, unico competente e terminale infinitesimo di una catena economica e burocraticamente formale, svolge l’attività educativa propriamente detta. Un’attività che svolgerebbe gratis per l’amore e la dedizione che nutre per gli alunni e la scuola intesa nella sua natura formante, educativa. Gratis anche perché i 23,22 euro lordi in busta fanno sorridere (o piangere) in confronto alle quote (ben studiate e strutturate) di anche 15mila euro che ogni funzionario regionale o progettista si mette in tasca per ogni singolo progetto.

E allora, ancora di più, viene da pensare a come la scuola possa salvarsi se non si riesce neanche a gratificare il lavoro (quello educativo, di condivisione, di fatica umana) di un “semplice” insegnante che non può certo permettersi di staccarsi emotivamente dall’ambiente in cui vive, in cui porge non solo il viso e il cuore, che a casa continua a vivere del suo lavoro, della sua passione perché il suo lavoro diventa la sua vita, ne è coinvolto totalmente.

E allora la preghiera a chi emana denaro a pioggia per questa fantomatica ripresa della Scuola, è di riconsiderare le funzioni di chi realmente vive quei progetti, invece di coloro che vivono di quei progetti.

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