Ci sono scene che sono capaci di metterti all’improvviso di buon umore come quella cui ho assistito oggi. Nel centro storico di Napoli ho visto due romanticissimi e attempati turisti che vagavano tra i vicoli con una cartina vecchio stile e qualche difficoltà a orientarsi. Finalmente, dopo lunghi mesi di strade semideserte a causa del Covid, qualche piccolo spiraglio di normalità.
A dire il vero, già dal primo lunedì in zona gialla capitava di incrociare per strada persone con inflessioni non proprio partenopee e abbigliamento che tradiva azzardate intenzioni turistiche, se non addirittura qualche comitiva di turisti stranieri con tanto di paletta alzata da parte della guida. Questo per dire che le potenzialità turistiche della città sono tali che è facile immaginare che, non appena si ritornerà a un minimo di normalità, il settore e tutto il suo indotto sono destinati facilmente a riprendersi; purché ciò avvenga il prima possibile.
A chi come me ha la fortuna di percorrere quasi quotidianamente l’incredibile museo a cielo aperto che è il centro storico di Napoli, non è raro imbattersi in turisti che chiedono una qualche indicazione. Dovessi stilare una mia personale classifica, tre sono le domande che più frequentemente mi sono sentito rivolgere. In ordine sparso: informazioni sull’entrata della Cappella S. Severo, dove si trova il Cristo Velato, l’ubicazione di una famosa trattoria nel centro dei Quartieri Spagnoli dall’imbattibile rapporto qualità/prezzo; indicazioni per arrivare alla Chiesa del Pio Monte della Misericordia. In quest’ultima è conservato uno dei tre capolavori napoletani di Caravaggio, Le sette opere della Misericordia appunto. Per le considerazioni artistiche rinviamo a chi ha titoli per farlo; posso solo dire che è una di quelle opere di fronte alle quali ci si siede per guardarla rischiando di smarrire la dimensione temporale; racchiudere tutte le sette opere di misericordia corporali, raffigurate da ben 14 personaggi in una tela di appena 10 metri quadri, è prerogativa solo del genio e la contemplazione è l’unica attività possibile.
Chissà se i committenti di quest’opera immaginavano che la fama che avrebbe acquistato nel tempo avrebbe posto un po’ in secondo piano l’istituto che era destinato a celebrare. Fatto sta che il Pio Monte della Misericordia davvero ha una storia particolare. Anticamente la nobiltà doveva distinguersi o per le gesta militari o per le attività a favore dei più deboli. Sette nobili napoletani decisero di onorare il loro blasone in quest’ultimo modo. A mo’ di caritativa si vedevano ogni venerdì presso l’ospedale degli Incurabili con un semplice obiettivo: mettere su opere assistenziali che avevano l’obiettivo di dare cibo agli ammalati; il tutto, ovviamente, a loro spese.
Poiché la Provvidenza opera a prescindere dai titoli nobiliari ma utilizza all’occorrenza anche i nobili, questi riuscirono a raccogliere in pochissimo tempo un capitale tanto ingente a favore di queste opere caritatevoli che sentirono l’esigenza di darsi una veste istituzionale. Per questo nel 1602 fondarono il Pio Monte della Misericordia, che si occupò da quel momento di utilizzare le risorse che via via si raccoglievano per destinarle a specifiche attività benefiche: soccorrere gli indigenti, assistere gli infermi, riscattare gli schiavi cristiani dagli infedeli, assistere i carcerati, liberare i detenuti per debiti e dare alloggio ai pellegrini. Insomma, quello che Gesù invitava a fare nel Vangelo.
Nel 1603 venne redatto lo statuto del Pio Monte che ne disciplina e regolamenta la vita da più di quattrocento anni. Finanziato solo da laici, visto e considerato che gestiva un bel po’ di soldi e che questi proverbialmente si attaccano anche alle mani dei santi, i fondatori pensarono per la sua gestione a un efficacissimo turnover. Il buon governo era garantito attraverso la rotazione semestrale dei governatori impegnati nelle diverse opere, al fine di assicurare la massima correttezza nell’uso. Singolare era la modalità concreta con cui la gestione avveniva. I governatori erano sette, tanti quante le opere di misericordia corporale evangeliche; questi si riunivano due volte alla settimana per stabilire i compiti e come organizzare le attività da svolgere. Il tavolo intorno al quale si riunivano era ettagonale; su ogni spicchio era intarsiata la frase Fluent ad eum omnes gentes (ad esso affluiranno tutte le genti) e un’opera della misericordia che ricadeva sul governatore che sedeva in quella porzione di tavolo e che era destinato ad occuparsene attivamente.
Ogni sei mesi i governatori eletti ruotavano fisicamente intorno al tavolo fino a quando non avevano svolto personalmente e non si fossero occupati dell’organizzazione di ciascuna delle opere di misericordia corporali; solo alla fine del giro aveva l’onere di ricoprire l’ultima carica prevista e cioè quella di gestire il patrimonio del Pio Monte.
Nei secoli l’attività dell’istituto è stato un fiume ininterrotto di opere che hanno avuto come centro dell’iniziativa non solo il bisogno contingente ma la persona, aiutandola, laddove possibile, a riprogettare e sostenere la sua vita, come avviene per il sostegno agli studi scolastici, all’occupazione giovanile, all’infanzia in povertà educativa ed economica e tanto altro. Per non tacere di come l’Istituto è accanto a realtà territoriali, sempre legate al sociale, nel sostenere i loro progetti e le loro iniziative istituzionali.
A ben vedere, la bellezza sublime di quel quadro che attira visitatori da tutto il mondo è solo un rimando alla storia e alla vita di carità del Pio Monte che ancora oggi copiosa fluisce grazie soprattutto all’attività delle tante persone che vi sono coinvolte e che, per paradosso, lo rende contemporaneo come non mai.
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